In concomitanza con la visita della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni in Albania, don Roberto Ferranti, direttore del Cmd di Brescia, per diversi anni fidei donum, si trova anche lui nel Paese delle Aquile.
Ha visitato l’area dove sorgerà il Centro per migranti di Shengjin, a pochi chilomentri dalla città di Lezha. Questa la sua cronaca.
Non resisto al desiderio di passare da Shengjin, a vedere cosa sta realmente succedendo in merito alla costruzione delle strutture che dovranno accogliere migranti sbarcati in Italia e inviati in Albania dal nostro Paese.
Ho vissuto quasi 10 anni in questa terra come fidei donum e mi sta a cuore la vita di questo popolo e di questa Chiesa.
Fatico a capacitarmi di quello che lì sta avvenendo e che ci viene presentato come un “modello europeo” di alleggerimento del “problema” migratorio.
Fatico ad accettare questo perché per me e per tanti missionari l’Albania è una terra da amare, da accompagnare.
Una terra che ci consegna l’eco di religioni che hanno testimoniato con il sacrificio della vita di molti uomini la fedeltà alla propria fede.
Una terra che vive ancora in modo forte la fatica dell’emigrazione di massa dei giovani che non hanno possibilità di costruire lì il loro futuro a causa di una politica locale poco lungimirante.
Ecco: in questa terra di confine tra oriente e occidente, come ci ricorda l’Aquila bicipite della bella bandiera albanese, l’Italia sceglie di andare a “parcheggiare” una delle realtà che non è in grado di voler affrontare in modo completo: l’emigrazione.
Anziché far qualcosa in più per sostenere il cammino di questo popolo, gli consegniamo anche un nostro problema, spostandolo geograficamente per vederlo di meno.
Arrivo a Shengjin, località di mare a pochi chilomentri dalla città di Lezha.
Mi dirigo verso il porto in fondo al paese alla ricerca dell’Hotspot costruito all’interno dell’area portuale.
Ovviamente non è possibile accedere al porto: cancelli chiusi, sbarre abbassate.
Mi fermo a chiedere a qualche abitante se sanno dove è questo centro;
tutti si fermano, si girano e indicano con la mano la direzione dell’interno del porto e scuotono le spalle dicendo di non sapere nulla di più e riprendono il loro cammino.
Non capisco se è indifferenza, rassegnazione o timore di esprimersi a degli stranieri.
Riusciamo comunque a scattare qualche veloce fotografia e provo a raggiungere la spiaggia per vedere se si scorge qualcosa di più dal lato del mare.
In verità non si scorge nulla: solo una immensa muraglia a forma di quadrato, alta 4 metri, sorvegliata da telecamere issate su pali che delimitano il confine, un po’ di poliziotti che sorvegliano gli ingressi.
Dentro non si sa cosa ci sia, nemmeno i giornalisti sono stati ammessi durante la visita di Meloni e il premier albanese Rama.
Inutile dire, senza pregiudizi, che dall’esterno le sembianze sono quelle di un carcere.
La seconda struttura, quella dove i migranti dovrebbero restare alloggiati, deve ancora essere costruita e non si sa come potrà essere pronta ad ospitare 1.000 persone ai primi di agosto.
Anche qui, la gente indica con le mani la direzione dei lavori ma nessuno desidera fermarsi a parlare.
Mentre finisco di vedere dalla spiaggia questa orribile muraglia, che non sappiamo dentro come sia, vedo a poche centinaia di metri l’inizio della spiaggia con sdraio e ombrelloni e i primi turisti che gustano il caldo estivo.
Poche centinaia di metri segnano il confine dell’indifferenza verso persone che lasciano il loro paese per motivi diversi: gli italiani per fare le vacanze cercando di risparmiare sfruttando le spiagge dell’Albania.
E i migranti richiusi in pochi metri quadrati che sempre noi italiani mettiamo lì per cercare di non vederli per “risparmiare”, anche in questo caso, cosi ci dicono, sulle spese delle nostre strutture italiane.
Mi chiedo come possano pensare i nostri governi italiano e albanese che in questo modo si fa il bene di entrambi i nostri paesi sulla pelle di altre persone.
Non riesco a capirlo.
Continuo a sperare che nonostante questi folli spese milionarie queste strutture non inizino mai il loro servizio; lo vedremo nei prossimi mesi.
Preferisco continuare a sognare insieme a Papa Francesco “come un’unica umanità”.
Dove come fratelli proviamo a costruire un mondo nuovo, smettendola di pensare che qualcuno ha il diritto di decidere dove altri possano o non possano vivere la propria vita.
Noi scegliamo le spiagge albanesi per far le ferie risparmiando; altri non possono decidere dove costruire con dignità la propria vita.
Mi chiedo quale sia la “giusta misura”.