I vescovi congolesi chiedono elezioni «credibili e trasparenti» nel Paese entro e non oltre il 2023 e una riforma elettorale che garantisca «il rispetto dei tempi» e la buona riuscita del processo elettorale. Vogliono inoltre che il popolo «difenda i propri diritti fondamentali ad ogni prezzo» e che non ceda «a sentimenti tribali, etnici o partigiani».
Con un documento di sei pagine firmato da 19 vescovi, compreso il cardinal Fridolin Ambongo, arcivescovo di Kinshasa e quello di Bukavu (capitale del Kivu) Francois-Xavier Maroy, la Conferenza episcopale lancia un esteso appello ad una serie di interlocutori.
Tra i quali: il popolo congolese, il presidente della Repubblica, il governo di Kinshasa, il Parlamento, le Corti, e la comunità internazionale.
Al Governo i vescovi chiedono di «prendere in considerazione la crisi della popolazione che langue i miseria»; di riempire la «falla che si è creata tra la maggioranza della popolazione e una minoranza che ha concentrato nelle proprie mani le ricchezze del Paese, confiscandole».
Fissano poi una data per le elezioni che non deve andare oltre il 2023 e chiedono al Parlamento di dedicare il mese di marzo che è appena iniziato alle leggi sulle riforme elettorali e l’organizzazione della Commissione Elettorale Nazionale Indipendente (CENI).
Alla Comunità internazionale chiedono di intervenire per favorire «una preparazione adeguata dello scrutinio del 2023». Una raccomandazione particolare è riservata alla scelta di coloro che guideranno il Paese o che comunque andranno a ricoprire ruoli ‘chiave’.
«Solo gli uomini e le donne che hanno dimostrato di avere una buona etica nel loro passato meritano di essere scelti per guidare le istituzioni statali e le aziende pubbliche».
Lo stesso cardinal Ambongo qualche mese fa aveva dichiarato: «Ho potuto testimoniare molto da vicino l’inaccettabile miseria di una popolazione traumatizzata e moralmente indebolita. Ho visto villaggi vuoti e campi abbandonati».
«Queste sono azione calcolate e pianificate, la cui regolarità, rivela chiaramente l’obiettivo di ‘balcanizzazione’ del nostro Paese».
Il riferimento era a quanto accade nell’est del Paese: la Repubblica Democratica del Congo continua ad essere quotidianamente sconvolta da fenomeni di corruzione, guerriglia, conflitto armato.
La porosità dei confini in quest’area, la ricchezza del sottosuolo (oro, rame, coltan), la presenza dei frastagliati monti Rwenzori e delle foreste dell’Ituri, favoriscono il banditismo e la proliferazione di gruppi armati che si spartiscono potere e terra. Sono 122 le milizie che imperversano da almeno 20 anni tra Ituri, Sud Kivu, Nord Kivu e Tanganika.