«Arrendersi in Centrafrica è abbastanza facile. Capita anche ai più ostinati. Ma c’è un piccolo esercito di uomini e donne, centrafricani di nascita o d’adozione, che si rifiutano di gettare la spugna e che, senza far troppo parlare di sé, combattono per un Centrafrica migliore».
Inizia così la lettera – e anche il viaggio – di padre Federico Trinchero, missionario carmelitano a Bangui, che ci conduce attraverso un Centrafrica «diverso da quello raccontato dalle cronache dei sessant’anni d’indipendenza da poco compiuti».
«Ogni viaggio, sempre in compagnia dei miei giovani seminaristi, è sempre l’occasione per incontrare alcuni di questi inconsapevoli eroi. Vorrei farveli conoscere».
Alla scoperta dei frati Cappuccini
Padre Federico racconta gli incontri e le scoperte fatti durante un’avventura on the road, a febbraio scorso, con i catechisti verso Bossangoa, città nel nord del Centrafrica, dove il gruppo ha conosciuto padre Brice, giovane sacerdote diocesano e la sua chiesetta nella savana.
«Quando in Centrafrica c’è un colpo di Stato – e in questi sessant’anni non sono certo mancati – Bossangoa è la prima città a subire distruzioni e saccheggi. E ogni volta Abbé Brice e i suoi confratelli non si arrendono e raccolgono la sfida di ricostruire questa piccola chiesa nella savana, dove i missionari sono ormai molto rari».
Il carmelitano scrive che solo da poco tempo sono ritornati i Cappuccini. Che a causa delle guerra, loro che tanto avevano contribuito all’evangelizzazione del Centrafrica, erano stati costretti ad abbandonare la missione di Gofo, completamente distrutta.
Padre Michel, padre Antonino e fra Roland non si sono arresi e con coraggio e tenacia ora ripartono dalla piccola missione di Notre Dame de l’Ouham.
«A Bossangoa c’è anche una delle pochissime industrie del paese – racconta – : un cotonificio di proprietà dello Stato. Abbiamo la fortuna di visitarlo durante la produzione. Vi lavorano diversi operai, anche se da più di un anno non ricevono alcun stipendio. Anche loro non si arrendono e, pur di non perdere il lavoro e d’impedire la chiusura di una delle poche attività economiche del paese, continuano a produrre cotone».
Suor Claire e il burro di karité
Un po’ in periferia il gruppo incontra suor Claire. La sua congregazione è stata costretta a lasciare il Centrafrica, ma suor Claire non si è arresa e con alcuni amici, e pochissimi mezzi, ha messo in piedi una scuola di cucito per ragazze e un piccolo centro dove viene prodotto dell’ottimo burro di karité. In questo modo si consente anche alle donne di lavorare e di guadagnare qualche soldo. Nel laboratorio si cucito svettano delle belle macchine da cucire vintage, stile Singer delle nonne.
Il viaggio di padre Federico prosegue e stavolta da Bossangoa si arriva a Bozoum, missione fondata dai padri spiritani nel 1929, e poi diventata la prima missione carmelitana in Centrafrica, ormai quasi cinquant’anni fa.
«Come ogni domenica i miei confratelli sono impegnati nel ministero in parrocchia e nelle chiese nei villaggi. Padre Norberto è arrivato per la prima volta in Centrafrica quarant’anni fa, come muratore volontario. Poi vi è ritornato come sacerdote. Oggi celebra l’Eucaristia con i cristiani di Wara, uno dei villaggi più difficili da raggiungere».
Padre Norberto non si arrende e, dopo un’ora di macchina e un’ora a piedi, raggiunge il piccolo villaggio che lo attende da mesi.
«Durante il soggiorno a Bozoum decidiamo di scalare una delle rare montagne del paese, un grande roccione che incombe sul piccolo villaggio di Aï. Per qualche istante, contemplando lo splendido panorama sulla savana, ci sembra di abbracciare con la nostra preghiera l’intero Centrafrica».
Bimba uccisa dal morbillo
Ridiscendono dalla montagna e attraversando il villaggio di Sambay, notano attorno ad una capanna «alcune persone silenziose e con il volto triste. Ci accorgiamo subito che qualcuno è appena morto. Si tratta, purtroppo, di una bambina, costretta ad arrendersi ad un semplice morbillo».
«Ci fermiamo e restiamo un po’ con la famiglia. Ed è inevitabile pensare al resto del mondo ossessionato dalla pandemia del coronavirus e che neppure immagina che in Africa, ogni anno, migliaia di bambini muoiano ancora per questa malattia».
Prima di ripartire il gruppo viene ospitato dalla famiglia di fra Gerard, sacerdote carmelitano, che invita tutti a pranzo.
«Ci accoglie maman Simone – racconta ancora padre Trinchero – Ci prepara un delizioso varano, uan specie di lucertolona gigante. Maman Simone, pur avendo un figlio carmelitano, è di confessione protestante. Madre di ben dieci figli, dei quali quattro già deceduti, è rimasta vedova da alcuni anni. Anche lei non si è arresa ed ora è contenta di ospitare nella sua piccola casa la nuova e grande famiglia di suo figlio».
La cappella del Sacro Cuore e padre Renato
Sulla via del ritorno, dopo aver lasciato la missione di Bozoum, il gruppo arriva al villaggio di Bogherà, dove padre Renato, missionario in Centrafrica per più di trent’anni e morto di leucemia alcuni anni fa, e il volontario Enrico avevano costruito una piccola cappellina dedicata al Sacro Cuore.
«È ormai quasi il tramonto e decidiamo di fermarci per la preghiera. Iniziamo il canto dei Vespri in francese ma, in breve la piccola chiesa si riempie di uomini, donne e bambini, e siamo quindi costretti a terminare in sango, la lingua locale, tanto è grande il desiderio di questi cristiani di unirsi alla preghiera dei dodici frati improvvisamente arrivati nel loro piccolo villaggio».
(Fine prima parte, segue)
Nella foto di apertura, il gruppo con padre Federico Trinchero, i catechisti, i sacerdoti locali e Maman Simone.