Si può fare missione in tanti modi. Quello scelto da padre Franco Nascimbene, missionario Comboniano, 71 anni, che ha operato prima in Ecuador, poi a Castel Volturno e successivamente in Colombia, è uno stile di vita che lo rende povero tra i poveri.
Da oltre 30 anni padre Franco ha fatto una scelta missionaria ben precisa: «non possedere un’automobile, né un cellulare, né un frigorifero, né una lavatrice, e guadagnarmi da vivere con un lavoro manuale, come fanno molte delle famiglie del mio quartiere».
Padre Franco Nascimbene, missionario comboniano, nato a Malnate (VA) 71 anni fa, ha operato in Ecuador, poi a Castel Volturno (CE), poi in Colombia dove si trova tuttora.
Ma questa lunga e differenziata attività missionaria è permeata da «quel fuoco sulla Terra» che «Gesù dice di essere venuto a portare», fuoco che il missionario legge come molto presente nelle sue esperienze di vita perché «l’amore che Gesù ci ha insegnato ci spinge a entrare in conflitto, a mettere fuoco sulla terra, a essere pronti a rischiare qualcosa di nostro, perché possa farsi reale, un po’ per volta, quel sogno di Dio di una società di fratelli e sorelle».
E così i conflitti vissuti dal missionario sono molto distinti: alcuni con ricchi terra-tenenti, sfruttatori e assassini; altri con autorità politiche, paramilitari, persino religiose; altri, invece, sono interiori, vissuti da solo o con altre persone.
Certo è che tutti sono stati mossi da quel fuoco di cui Gesù parla nel Vangelo e dalla scelta di uno stile di vita del missionario, che entra in conflitto diretto con il modello di società più diffuso:
«La società che ci circonda – spiega padre Franco – ci sta dicendo in mille modi che una persona raggiunge la felicità se riesce a possedere sempre più cose, sempre più soldi, l’ultimo telefonino in circolazione, una bella macchina, una tv con schermo gigante, ecc.
E’ questo il suo stile di vita e di missione da sempre: essere povero con i poveri, facendo a meno dei soldi che, come missionario, gli sarebbero potuti arrivare dal Nord del mondo, per non avere privilegi rispetto ai vicini di casa.
Ha vissuto vendendo latte di soia o frittelle, come un qualsiasi altro venditore ambulante, come la sua gente.
Questo stile di vita lo ha imparato e praticato nella sua prima meta di missione: una periferia di Guayaquil, in Ecuador, Paese dove è rimasto dal 1983 al 1998.
Ma da quel momento è diventato il suo modo di vivere, tanto che anche oggi, a 70 anni suonati, continua con le stesse modalità anche in Colombia.
In concreto, padre Franco è un povero tra i poveri, che sceglie di vivere con i loro stessi mezzi, tempi e ritmi, misconoscendo le grandi strutture (per le quali serve molto denaro) come mezzi per evangelizzare.
E’ vero che una casa in cemento aiuta a preservare la salute e garantisce un miglior servizio ai fratelli. E’ anche vero che un’automobile permette di arrivare più in fretta a visitare le comunità e assicura il trasporto dei malati in ospedale.
Certamente la presenza di una cuoca e di una lavandaia che cucinano e fanno il bucato permette di non perdere tempo prezioso per l’evangelizzazione.
E ricevere migliaia di euro che arrivano dall’Europa consente di costruire strutture che promuovono la dignità dei bisognosi.
Ma spesso i missionari sono gli unici a non essere poveri nella zona in cui si trovano a vivere:
«Noi avevamo fatto il voto di povertà – chiosa padre Nascimbene – e gli altri lo vivevano».
Per questo la sua scelta definitiva è stata quella di «smetterla di trattare i poveri come oggetto della carità e aiutarli invece a diventare soggetti della propria promozione».
In un quartiere della periferia più povera della città di Bogotà, in Colombia, a volte padre Franco usciva di casa con lo zaino pieno di cibo e andava a cercare le famiglie più povere.
Un giorno una madre, che aveva 12 bocche da sfamare, dopo aver gioito per quello che il missionario le aveva portato, gli disse: «Padre, qui vicino vive una coppia di anziani che sono troppo vecchi per lavorare e non hanno niente da mangiare: vieni con me, prendiamo qualcosa di ciò che ci hai portato e andiamo a condividerlo con loro».
Quest’episodio – conclude il missionario – dimostra che «la solidarietà è la tenerezza dei poveri». Ma – ne è sicuro padre Franco – se egli stesso non vivesse come loro, i suoi occhi non sarebbero capaci di riconoscerla.