Il sindaco di Verona, Damiano Tommasi parla della vocazione ad essere sempre più «città del dialogo e della riflessione, dove costruire giorno dopo giorno un pensiero di pace».
Cosa vuol dire per lei, sindaco, il tema dell’incontro di Arena 2024, e come si può declinare nell’amministrare una città?
«L’obiettivo dell’Arena di Pace è mettere sullo stesso piano e in dialogo giustizia e pace. Il tema della pace è sentito e non può prescindere da quello della giustizia.
Dal punto di vista di una città deve essere l’obiettivo dell’amministrazione: chi ne ha il governo deve lavorare per ridurre le distanze, le differenze e dare a tutti le stesse opportunità.
Solo una giustizia sociale può portare pace in una comunità e credo che debba essere una costruzione dal basso.
La pace si può reggere in maniera stabile solo se poggia su fondamenta di giustizia. Purtroppo non tutti abbiamo la stessa visione di giustizia e spesso è questo che genera il conflitto, che non fa arrivare alla pace e alla convivenza pacifica».
Quali frutti si aspetta da questo evento?
«Arena di Pace è indubbiamente una grande opportunità che ci dà il Santo Padre con la sua visita.
E’ anche una responsabilità che il papa sembra quasi affidarci, una responsabilità di dialogo per questa città “crocevia di culture e di popoli” come lui stesso l’ha definita.
Credo che Verona abbia l’occasione di prendersi questo compito per la sua storia e per la sua esperienza: pensiamo alle tante persone che da Verona sono partite per costruire la pace e il dialogo.
Credo che Arena 2024 rappresenti un momento particolarmente significativo proprio per questo, e mi auguro lo sia davvero: una conferma, un sigillo sulla nostra città come luogo di dialogo e di incontro.
Verona è all’incrocio di vie di comunicazione frequentate non solo da persone ma anche da merci, da interessi, da culture e proprio per questo possiamo e dobbiamo prenderci questa responsabilità di mettere attorno ad un tavolo le varie culture, i vari punti di vista e farci carico di questo ruolo».
Lei è esperto nel “fare squadra” e non perde occasione di citare don Milani: cosa vuol dire “fare squadra” attorno al tema della pace e come costruiva pace il priore di Barbiana?
«Fare squadra vuol dire avere la consapevolezza dell’unico pallone – se vogliamo proseguire con la metafora – perché se il pallone è condiviso, ed è uno solo, è più facile per tutti mettersi a disposizione dell’obiettivo che deve essere comune e prioritario rispetto agli interessi individuali. Credo che l’esperienza di Barbiana abbia avuto proprio questo significato: l’obiettivo principale era rendere i ragazzi consapevoli della loro unicità, sviluppare in loro un pensiero critico e dare a loro strumenti per essere parte di una comunità che deve trovare degli obiettivi comuni.