Vivere nel paese delle pepite d’oro e delle miniere a cielo aperto non è per nulla semplice di questi tempi. Ad El Callao, sud est del Venezuela, ai margini della foresta tropicale, si muore di miseria e di malaria. Ma si continua a scavare, a mani nude e senza alcuna protezione, per cercare fortuna dove non c’è.
A parlarcene, in questa intervista esclusiva dalla diocesi di Ciudad Guayana proprio ad El Callao, è un fidei donum di Brescia, don Giannino Prandelli, dal 2001 in Venezuela.
«Sempre più persone per sopravvivere diventano dei ‘cercatori d’oro’ – ci racconta – Il Paese dove vivo, nello Stato di Bolivar, contava 40mila abitanti fino a un paio d’anni fa, adesso arriva ad oltre 300mila. Ci sono 260mila persone in più e fanno in gran parte i minatori».
Arrivano dalle città vicine, come San Feliz, con loro molte donne con figli che si trasferiscono qui per vendere quello che possono, dalle sigarette ai dolci.
«Gran parte dell’oro viene estratto dai privati o dai piccoli gruppi organizzati, attraverso dei buchi fatti nella terra che è rossa e fangosa– dice – Per cercare l’oro hanno mezze autorizzazioni, oppure nessuna».
Sono cercatori d’oro illegali e senza fortuna; sono poveri e per loro non c’è futuro, se non il guadagno misero della giornata.
In quello che un tempo era una sorta di paradiso terrestre tropicale, con foreste e fiumi, si scava il più possibile e tutto l’oro ricavato serve a pagare i debiti accumulati dal malgoverno di Maduro.
Con una moneta come il bolivar che non vale più niente e continua a svalutarsi, almeno l’oro estratto e rivenduto frutta qualcosa, dice il missionario. Ma si tratta di proventi solo per pochi.
«Lo sfruttamento delle miniere qui è disordinato e non risponde a nessuna regola: – racconta ancora don Giannino- chi approfitta dell’oro sono le mafie e alcuni politici. L’attuale governo del presidente Maduro è quello che ha espropriato tutte le miniere private e straniere e che dirige quelle statali». Le concessioni vengono date alle compagnie cinesi e anche a quelle russe, spiega il missionario, e gran parte dell’oro estratto dalle compagnie statali non viene lavorato in loco ma finisce per lo più nelle raffinerie della Turchia.
«C’è una difficoltà enorme a fare ordine in una situazione tanto complessa: anche le amministrazioni locali non hanno potere e tante volte i sindaci sono burattini dominati da politici potenti», spiega.
«Noi, in paese, da mesi non abbiamo acqua nelle case perché l’acquedotto non funziona. 300mila persone hanno il problema dell’acqua. Luce e gas sono problemi grandissimi qui», spiega don Giannino. Questo provoca «grande sofferenza».
La Chiesa missionaria qui a El Callao «prosegue l’esperienza di formazione e celebrazione eucaristica ordinaria – spiega don Prandelli – : è quello che dobbiamo fare e che dà senso alla nostra presenza come missionari e alimenta la coscienza della vita cristiana nei laici».
Con l’aiuto dei laici i parroci delle parrocchie aiutano le fasce più deboli della popolazione, soprattutto gli anziani.
«Già da anni abbiamo una mensa ma oggi è più difficile di prima. Nonostante questo, riusciamo ad offrire ad un gruppo anziani bisognosi, circa una trentina, la colazione e il pranzo. Io sono rimasto solo: prima eravamo in quattro, ma la diocesi non ha risorse vocazionali. Però le parrocchie della zona hanno tutte un sacerdote venezuelano diocesano e tanti laici impegnati», racconta.
La situazione politica è andata peggiorando in questi ultimi anni, fino a raggiungere l’apice con la morte di Chavez e la gestione di Maduro.
«Lui ha iniziato a non rispettare le regole fondamentali, come la separazione dei poteri – spiega il missionario – : Maduro ha cercato di eliminare l’assemblea nazionale. E ha creato un’Assemblea nazionale costituente. Cosicché abbiamo due assemblee: una nazionale eletta dal popolo, e una costituente eletta da pochi. Le ultime elezioni sono state manipolate».
La Chiesa in Venezuela sta con il popolo, con la libertà e con Guaidò. Che chiede, dice anche don Giannino, «che se si va ad elezioni, queste siano davvero trasparenti. La visione socialista rivoluzionaria di Chavez aveva già fatto intravedere una crisi economica profonda, perché aveva incentrato molto sui militari che poco a poco hanno distrutto la forza industriale e la produzione nazionale a vari livelli».
Ma negli ultimi quattro anni l’inflazione è andata galoppando e in poco tempo al bolivar sono tolti otto zeri. La svalutazione è stata nell’ordine del 10mila%. Lo stipendio medio oggi è sui due euro al mese. La produzione locale è azzerata.
«Nelle settimane scorse ci sono state altre marce per la libertà a Caracas, una marcia organizzata dall’opposizione in appoggio a Guaidò: la partecipazione della gente è enorme. Le precedenti erano state soffocate dall’esercito e dalla propaganda».
Quel che è certo qui, è che i cittadini manifestano ancora: «devo dire, come sacerdote missionario che la Chiesa sta denunciando la situazione irregolare e d’ingiustizia che ha conseguenze pesanti e di grande sofferenza per la gente. La loro preoccupazione non è direttamente politica: non vogliono essere i vescovi dell’opposizioni, ma vogliono rispondere alle esigenze della gente».
Dice infine il missionario che la situazione è delicata ma che «un cambiamento è ormai necessario e improcrastinabile; la gente già non ne può più e l’inflazione continua ad aumentare. Noi che andiamo al mercato a comprare gli alimenti di base per sopravvivere, oggi paghiamo 2500 bolivares per un chilo di farina e domani lo troviamo a 3mila. In un giorno i prezzi aumentano di 500 bolivares. Pensate cosa significa questo in una settimana in un mese».
Foto d’apertura dal sito Tlaxcala, minatori di El Callao.