Voci sempre più insistenti si rincorrono nei palazzi della diplomazia mondiale: gli Stati Uniti, dopo il ritiro dall’Afghanistan, sarebbero intenzionati ad aprire un nuovo fronte per appoggiare l’esercito della RD Congo nella lotta contro la presenza di forze islamiste destabilizzatrici nella regione dei Grandi Laghi africani.
Era l’aprile del 2017 quando le forze speciali americane , dopo sei anni di presenza nel Centrafrica, avevano abbandonato la caccia al leader ugandese del sedicente Esercito di Resistenza del Signore Joseph Kony.
Oggi un loro ritorno nella zona sembrerebbe concretizzarsi nella RDC per fronteggiare la minaccia di un altro gruppo ribelle ugandese a vocazione islamista, l’ Alleanza delle Forze Democratiche ADF-Nalu, che Washington ha messo da tempo nella lista nera delle organizzazioni terroriste affiliate al Daesh, “responsabile” del massacro di migliaia di civili negli ultimi dieci anni.
Da decenni il Congo, ex Zaire, è in ebollizione ed è teatro di guerre più o meno dichiarate,
scatenate da forze nazionali e internazionali soprattutto sfruttando le rivalità etniche regionali.
Nel tentativo di fermare la deriva bellica che nel Nordest del Paese sta facendo strage provocando l’esodo forzato della popolazione, il Presidente Tshisekedi nel mese di giugno aveva dichiarato lo stato di emergenza nella provincia del Nord Kivu, dove il 21 febbraio scorso ha tragicamente perso la vita l’Ambasciatore italiano Luca Attanasio, e nella zona dell’Ituri.
Oggi, legittimato dagli accordi della Coalizione mondiale contro il Daesh già sottoscritti nel 2019, il governo di Kinsasha ha autorizzato lo spiegamento delle forze speciali americane nell’Est del Paese con la missione ufficiale di appoggiare le FARDC, le forze armate congolesi, e le Forze di controllo dei parchi della Virunga e della Garamba dove si rifugiano i “terroristi” della regione, sulla quale convergono Congo, Burundi e Rwanda.
Dopo lo scacco in Afghanistan si aprirebbe quindi un nuovo fronte nel cuore del Continente, già teatro della discussa e tutto sommato sterile presenza dell’Africom, con il pretesto non più di “imporre la democrazia” ma di colpire le centrali del terrorismo disseminate in Africa ?
Il compito si presenta quanto mai arduo, tenuto conto del fatto che l’est congolese vive da tempo in una precarietà politica ed economica esplosiva e che negli ultimi mesi non si sono raggiunti risultati apprezzabili anche per le stesse contraddizioni interne di Kinsasha.
Bertin Mubonzi, presidente della Difesa e Sicurezza dell’Assemblea Nazionale congolese, ha presentato venerdi 10 settembre un rapporto quanto mai allarmante sulla situazione che prevale nell’est del Paese, denunciando senza mezzi termini complicità regionali difficilmente perseguibili:
“Il Governo ha una reale volontà politica che lo stato di emergenza possa terminare con successo – ha dichiarato in una conferenza stampa – ma ci sono certe forze interne che hanno dirottato i fondi messi a disposizione, e questo è inaccettabile.
Non vi posso dare ancora i nomi, ma è inconcepibile che non ci sia unità per combattere insieme verso un ritorno alla pace”.
Il timore che lo Stato di emergenza armato possa sfociare in un ennesimo flop serpeggia nelle stanze del potere a Kinsasha e non mancano quelli che preferirebbero la via della trattativa con i gruppi “terroristi” alla macchia; ma pochi ci credono ora che si è messa in moto una logica di guerra frontale“.
(Questo articolo è stato pubblicato sul NotiCum di ottobre 2021).