Tunisia, quello che la rivoluzione non dice

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Nei Paesi arabi la periferia resta largamente una terra incognita, anche quella della Tunisia del dopo Ben Ali. Tant’è che a distanza di tempo dalle Primavere il non risolto sociale ed economico tunisino riaffiora come il vero nodo non sciolto.

Se si vogliono capire gli esiti della Rivoluzione dei Gelsomini è lì che bisogna andare: nei territori lontani dal centro e dalle città. Lo fa in modo mirabile Stefano Pontiggia col suo “Il bacino maledetto”, edito da Ombre Corte.

Un libro così dettagliato e scientifico ma anche reportagistico e narrativo, da stupire per la compattezza del panorama che disegna.

Dopo aver letto i capitoli sulle Miniere, “di come il passato coloniale possa servire a criticare il presente” e sul Denaro, si hanno le idee molto più chiare sul perché quella dei Gelsomini rimanga alla fine una rivoluzione incompleta. O se preferiamo, un fenomeno soggetto a continuità e cambiamento, ai passi avanti e passi indietro della Storia.

L’autore è dottore di ricerca in Studi umanistici e sociali e ci dimostra come la presenza fisica nei luoghi sotto esame, valga più di tanta bibliografia. Che in ogni caso qui non manca.

«Queste esplorazioni – dice lui – mi hanno spinto a riflettere sul carattere disomogeneo di processi sociali che tendiamo ad immaginare come uniformi e unidirezionali».

Il suo lavoro di ecologia urbana indaga la marginalità del bacino minerario tunisino e del perché sia stato tagliato fuori dai benefici della rivoluzione.

«Ciò che le rivolte del 2010-2011 insegnano, è che se vogliamo comprendere processi lunghi, complessi e disomogenei come l’uscita dalla dittatura, è essenziale studiare spazi e gruppi periferici». Entriamo fisicamente dentro Redeyef e la sua storia:

«L’economia coloniale del bacino minerario si fondava su tre assi essenziali: il centro di sfruttamento, la linea ferroviaria e la città europea».

Infine una nota: la grande empatia e umanità con cui Pontiggia indaga ogni fenomeno.

Redeyef, scrive, è un posto «dove vivere è difficile» ma questa vita scomoda «mi fa sentire prossimo a questi uomini e mi permette di intuirne le fatiche e le speranze».