Anna Maria, Camilla e Giada sono tre donne partite dalla diocesi di Reggio Emilia con modalità e scopi diversi. Ma con uno scopo condiviso: mettersi a servizio della missione comune in Madagascar.
La missione non ha età; a volte, invece, è un accumularsi di anni e di esperienze.
È il caso della diocesi di Reggio Emilia che dal 1961, sulla scia della Lettera di Pio XII del 1957 e a partire da don Pietro Ganapini, invia fidei donum in Madagascar.
Le ultime ad essere rientrate, tra dicembre 2022 e gennaio 2023, sono Anna Maria Borghi, Camilla Lugli e Giada Tirelli: tre laiche con storie diverse, ma accomunate dalla consapevolezza dell’importanza di partire in gruppo.
Per Anna Maria Borghi, per esempio, è stato «un modo per confrontarsi e per superare insieme le difficoltà legate all’impatto con una cultura così diversa».
Classe 1956, ha insegnato per 40 anni nella scuola primaria ed era stata sempre in contatto con i sacerdoti che erano lì, finché non ha deciso di raggiungerli, visto che c’è stata «l’occasione di anticipare la data del pensionamento di tre anni, anche se l’inizio della pandemia ha fatto slittare la nostra partenza di un anno».
All’inizio, non è stato facile.
«Già l’acqua salata che usciva dai rubinetti, per noi occidentali, era un disagio, ma poi sono stata io a portarmi a casa un grande senso di mia povertà.
Perché ci si scontra con un mondo di bisogni e di fatiche, distante dal nostro, e ci si accorge che non siamo supereroi né uomini e donne d’acciaio con tutte le soluzioni.
Ho imparato che sono una dei tanti poveri davanti a Dio e che si è sempre meno di ciò che ti viene chiesto».
Quella di Manakara, nella diocesi di Farafangana, è una zona bellissima del Sud del Madagascar, ma è anche molto degradata.
È facile, quindi, sentirsi impotenti, finché non si comprende che «la missione non è regalare cose. Bisogna essere consapevoli del proprio poco poter fare».
Anna Maria, nella parrocchia della Divina Misericordia (l’unica retta da sacerdoti non locali), lo ha sperimentato, oltre ad aver visto «una Chiesa ancora adolescente, che desidera riscattarsi dai colonizzatori, ma ha ancora tanto bisogno di farsi guidare».
Più di ogni altra cosa, tuttavia, si è sentita «mamma e nonna; parte di un mondo dove si respira energia; membro di una Chiesa che è casa di tutti, in cui la messa è il grande momento della giornata o della settimana per fare festa, per incontrarsi, per esprimere la gioia di un’appartenenza».
Insieme a lei ha vissuto Camilla Lugli, 28 anni, che a Manakara ha prestato servizio nel villaggio terapeutico di Ambokala presso l’ospedale psichiatrico e nell’oratorio parrocchiale.
«Le parole che mi risuonano dentro sono: essenzialità, tanti sorrisi, soglia della sofferenza alta, ritmo e musicalità, fatica e gratitudine», ricorda Camilla, che già da piccola sognava di andare in missione, spinta «dal desiderio di conoscere e scoprire nuove realtà e modi diversi di vivere».
Rientrata a Reggio Emilia, è ora impegnata con il Servizio Civile: «non sono più disorientata come i primi mesi, ma continuano a mancarmi le persone che incontravo, il girare scalza o con le infradito, i giochi per strada, il paesaggio meraviglioso, i canti, le feste, i pellegrinaggi e, infine, il gruppo di volontari con background diversi che univa più punti di vista».
Soprattutto, Camilla non smette di sentirsi grata e privilegiata per i suoi 13 mesi da fidei donum, e non esclude altre partenze per il futuro.
Chi è già partita di nuovo, invece, è Giada Tirelli, quasi 25 anni, infermiera, che attualmente è in Albania, in cammino con le suore Carmelitane Minori della Carità, conosciute in Italia e con cui ha condiviso l’anno in Madagascar.
Lei, alla Fondation Médicale di Ampasimanjeva, nella diocesi di Fianarantsoa, ci è arrivata «dopo una breve esperienza in Brasile, desiderosa di mettere a servizio della missione» le sue competenze e di «sperimentare la fraternità universale a cui siamo chiamati».
Ma non si è limitata ad affiancare il personale locale: «in quel contesto, in cui i bisogni sono tanti e le sorprese sempre dietro l’angolo, occorrono fantasia e creatività, e tutto è cura».
Come per le sue compagne di viaggio, anche per Giada la ricchezza dell’esperienza in Madagascar è stata «la compresenza di persone con vocazioni, provenienze ed età molto diverse, quindi la pluralità di sguardi e carismi».
A ciò si aggiunge la «forte sensibilità missionaria della diocesi di Reggio che negli anni ha generato un prezioso scambio di doni» con presenze anche in Brasile, India, Albania. «Ecco perché sono fidei donum.
Perché la lente con cui guardo al mondo è il Vangelo, incarnato attraverso la concretezza di un servizio e di una comunità».
È vero che il Madagascar è segnato da povertà materiale e incuria e che la corruzione dilaga, ma la gente è rimasta loro nel cuore, divenendo famiglia.
Compresi i cinque operatori malgasci della missione che hanno perso la vita in un incidente stradale a fine dicembre 2022, a ridosso del loro rientro in Italia.
Come conclude Anna Maria Borghi, la cui penultima classe in Italia era composta da 20 stranieri e cinque italiani, «smettono di essere stranieri per te. Sono il tuo panorama».