Dopo mezzo secolo di missione, padre Pierluigi Fornasier racconta la sua Timor Est che, a 20 anni dall’indipendenza, ha di nuovo eletto presidente il Nobel per la pace Josè Ramos-Horta
«Dopo appena 20 anni di democrazia non si è riusciti a rifondare la struttura politica e civile, aprendo gli spazi necessari alla partecipazione della gente. In un Paese così povero la democrazia fatica a mettere radici».
Così il missionario Pierluigi Fornasier esordisce, in questa lunga conversazione su Timor Leste (Est in italiano), la nazione più giovane e anche più “problematica” del Sud Est Asiatico, divenuta indipendente il 20 maggio 2002.
Lo scorso ottobre il sacerdote – 82 anni, capelli e barba bianchissimi che incorniciano un viso affabile – è tornato nella sua Bolzano dopo 54 anni di missione.
Dal 1968 ai primi anni Duemila ha vissuto nelle favela brasiliane e dal 2004 al 2021 nell’ex colonia – prima portoghese e poi indonesiana – a Nord dell’Australia.
Un’esistenza dedicata ai più poveri, trascorsa interamente con il prete trentino Francesco Moser, detto Chico.
Il collaboratore, amico, fratello di fatto, è scomparso il giorno di Natale del 2018 e qualche anno prima aveva rilasciato a Popoli e Missione un’intervista appassionata sul sostegno agli umili del Sud del mondo.
Entrambi hanno ricevuto il “Premio nazionale per la promozione dei diritti umani” dalla presidenza della repubblica di Timor Est.
E ai due religiosi il regista portoghese Claudio Savaget ha dedicato il documentario “Padri missionari di Ataúro”, descrivendoli come straordinari “giramondo” pronti ad affrontare qualsiasi sfida.
Ora Fornasier segue da lontano e senza Chico gli accadimenti nella sua Timor Orientale. «Non ho ancora un pc e una nuova email», dice con un filo di ironia, rispondendo puntualmente alle domande sul neoeletto presidente José Ramos-Horta.
Già premier dal 2006 al 2007 e capo dello Stato dal 2007 al 2012, Ramos-Horta è un’icona della lotta per l’indipendenza.
L’Indonesia invase la porzione Est di Timor nel 1975, dopo che il Portogallo – abbattuto il regime fascista di Salazar – aveva rinunciato alla sua colonia.
Nel 1996 il carismatico leader ha ricevuto anche il Nobel per la Pace assieme a monsignor Carlos Filipe Ximenes Belo, per aver cercato senza sosta di aprire gli occhi dell’opinione pubblica mondiale sui terribili crimini commessi durante l’occupazione indonesiana.
In un quarto di secolo, a causa della repressione e delle carestie, sono morte circa 200mila persone.
Il missionario spiega: «Ramos-Horta vuole rilanciare la democrazia popolare e rafforzare i legami con gli altri Paesi asiatici.
A 72 anni, ha alle spalle una vasta esperienza internazionale e la capacità di dialogare con tutte le tendenze politiche in gioco».
Ma il compito è arduo: «In questi due anni i due partiti principali (Fretilin e Cnrt, entrambi guidati da ex guerriglieri indipendentisti, ndr.) hanno perso molto tempo a litigare.
Lo spirito rivoluzionario si sta esaurendo in lotte di potere di nessuna importanza per lo sviluppo del Paese».
Timor Est continua a registrare il Pil pro capite più basso del Sud Est Asiatico.
Secondo la Banca Mondiale, il 42% della popolazione vive sotto la soglia di povertà.
Tra un milione e 300mila abitanti la malnutrizione resta elevata.
Il Programma alimentare mondiale – Pam riporta che il 53% dei bambini e il 47% delle bambine è rachitico, e che l’anemia prevale nelle donne e nei piccoli, raggiungendo un apice del 90% nei neonati dai sei agli 11 mesi.
L’aspettativa di vita, che era di soli 33 anni nel 1978, adesso è di circa 70 anni.
La maggior parte della popolazione ha meno di 25 anni (59%), ma questo “patrimonio umano” rischia di andare perduto se non si attua una rivoluzione economica.
Serve innanzitutto una diversificazione delle risorse.
Timor Est non può dipendere solamente da fonti energetiche non rinnovabili, ovvero il gas naturale e il petrolio presenti nei suoi fondali oceanici.
«I cambiamenti sono molto lenti perché manca quasi tutto, infrastrutture, strade, servizi, istruzione e formazione» continua padre Fornasier.
In un ambiente equatoriale e su un terreno prevalentemente roccioso si continua a praticare un’agricoltura di sussistenza. E si pesca con mezzi rudimentali, arco, freccia e nessuna protezione.
I due missionari “giramondo” hanno contribuito a realizzare diversi progetti, soprattutto sull’isolotto di Ataúro, distante 25 chilometri dalla capitale Dili.
Fornasier ribadisce che per loro è sempre stato prioritario collaborare con le comunità locali. Uno dei traguardi più soddisfacenti riguarda Maquili:
«Oggi, con i suoi 2300 abitanti, è l’unica cittadina con l’acqua in ogni abitazione e un bagno esterno rivestito in ceramica».
Lui e Chico hanno puntato anche su orti comunitari e piccole imprese: laboratori artigianali, resort, ristoranti.
La pandemia, però, ha frenato ogni attività: «Da 12 anni – aggiunge don Pierluigi – la cooperativa Boneca impiegava più di 60 donne, che confezionavano vestiti e bambole da vendere soprattutto a strutture turistiche.
A causa della SarsCov2, adesso si ritrova con una quindicina di lavoratrici che guadagnano appena 12 dollari a settimana».
Ma l’ecoturismo è una straordinaria opportunità: la barriera corallina di Timor Est presenta la più alta biodiversità del pianeta e, in base ai più recenti studi, è destinata a sopravvivere molto più tempo delle altre.
A Ramos-Horta sembra chiaro che i proventi del gas e del petrolio nel mare di Timor vadano gestiti meglio.
Il fondo petrolifero sovrano di 19 miliardi di dollari serve a finanziare l’85% della spesa pubblica, rendendo la nazione quasi completamente dipendente da esso.
Poiché non sono mancati sprechi, corruzione, e queste risorse stanno per esaurirsi, il presidente è favorevole all’avvio del nuovo progetto di estrazione di gas e petrolio Greater Sunrise.
Tuttavia, la lavorazione onshore (sul territorio timorese) da lui auspicata è molto costosa e richiederebbe l’aiuto di partner stranieri come Australia o Cina.
Probabilmente solo l’equilibrista Ramos-Horta, grazie alla sua decennale esperienza diplomatica, può accordarsi con attori molto distanti e creare un ponte fra oriente e occidente.
Profondo difensore dei diritti umani ed ex rappresentante Onu in Guinea Bissau, ha detto chiaramente di non essere “filo-cinese”.
Il suo intento è di trattare con chiunque possa agevolare lo sviluppo e di far entrare Timor Est nell’Asean.
Il missionario Fornasier conferma: «Quattro Paesi si sono avvicinati in questi anni con interessi più o meno palesi.
La Cina ha costruito strade. L’Indonesia si è concentrata sul commercio.
L’Australia ha messo a disposizione pozzi petroliferi e gli Stati Uniti hanno rafforzato alcuni settori strategici della sicurezza nazionale».
«Anche Cuba – conclude don Pierluigi – ha aiutato, formando 700 giovani in medicina. Ma manca ancora una politica che estenda a tutti i cittadini l’accesso a trattamenti finora riservati a una classe ridotta».
Un’aristocrazia, la chiamava padre Chico, che guadagna 180 volte di più di un comune cittadino: «Si tratta di discendenti dei colonizzatori, civili e militari. Persone con doppio passaporto, timorese e portoghese.
Famiglie che hanno commerciato con il Portogallo, depauperando Timor Est delle sue ricchezze, in primis il profumato sandalo.
Nell’ultimo decennio, però, è emersa una piccola classe media di funzionari, imprenditori, professori di università private, maestri di scuole pubbliche».
Per il missionario serviranno ancora alcune generazioni per raggiungere un benessere sociale, ma i timoresi devono già prepararsi a esigere il rispetto della loro dignità.