Sono otto le comboniane decedute nella loro Casa di Bergamo. Si tratta di missionarie anziane, già con patologie dovute alla vita spesa in missione. Covid-19 ha fatto il resto. Abbiamo intervistato la Superiora generale, Luigia Coccia.
Sr Luigia, di fronte alle 8 consorelle morte a Bergamo e ad altre in situazioni a rischio, come vi sentite?
Come se ci fosse caduta addosso una montagna. Tutta la comunità di Bergamo è stata coinvolta: dalla superiora all’economa, dalle sorelle anziane alle infermiere, travolte da questo virus che ha colto anche noi di sorpresa, una brutta sorpresa.
Vedere partire le sorelle maggiori come chiamiamo le nostre sorelle anziane, ha scolpito in noi una grande tristezza, un dolore profondo che ci portiamo dentro. Siamo consapevoli che erano tutte sorelle anziane, ma stiamo vivendo quello che si vive quando viene a mancare un genitore: non importa l’età, conta quello che sono state per noi.
E vederle partire tutte assieme lascia un enorme vuoto. Da anni soprattutto in Italia viviamo con frequenza la perdita di sorelle maggiori. Ma in questo caso si aggiunge un sentimento di impotenza, non riuscire ad essere presenti, non poter fare nulla.
Vederle partire da casa dentro una bara, senza funerale, senza poterle accompagnare, senza i famigliari che solitamente in questi momenti si stringono attorno è un’esperienza traumatica. Dobbiamo contemplare queste partenze in silenzio.
Come state rielaborando questi sentimenti?
La perdita numerosa di sorelle tutte in uno stesso momento fa risaltare in maniera luminosa la grande eredità che ci lasciano: sono donne che hanno speso la loro vita fin da giovanissime in vari paesi: Sudan, Egitto, Congo, Kenya solo per ricordarne alcuni. Come dice la Scrittura, “non dimentichiamo l’opera delle tue mani, Signore”, non possiamo dimenticare cosa hanno intessuto queste sorelle nella congregazione, nelle comunità, nei popoli dove hanno vissuto.
Quindi allo stesso tempo del dolore celebriamo un senso di gratitudine, ci rendiamo conto che noi siamo qui oggi a portare avanti una congregazione perché loro ci sono state e hanno dato la vita vivendo in diversi contesti la loro consacrazione a Dio.
Lei, in un recente messaggio, ha parlato di “far causa comune”
Stiamo vivendo in maniera inaspettata il “far causa comune” del carisma comboniano. Comboni ci ha detto di far causa comune con tutti i popoli, con il Covid-19 lo stiamo sperimentando in Italia. Stiamo vivendo anche noi, missionarie comboniane, assieme alla gente di Bergamo, la paura, la solitudine, il silenzio, la morte. C’è un aspetto nella congregazione che mi ha commosso.
Ce ne può parlare?
Da quando, agli inizi di marzo, abbiamo comunicato la gravità della situazione alle comunità nel mondo è partita una gara di disponibilità delle nostre consorelle giovani per venire in aiuto alle comunità di sorelle anziane in Italia. Pensando alla difficoltà di spostamento e all’enorme rischio di contagio, questa disponibilità ha commosso tutte noi. Addirittura la nostra provinciale in Medioriente, infermiera, è volata in Italia per mettersi a disposizione. Sento il dovere di ringraziare tutte le consorelle che stanno facendo l’impossibile per evitare nuovi contagi tra le 400 sorelle anziane che abbiamo in Italia.
Cosa vi preoccupa?
La situazione in Italia ci preoccupa, certo, ma non possiamo non pensare al sud del mondo, all’Africa: Congo, Kenya, Uganda, Sud Sudan… cosa può succedere in questi paesi? “Io resto a casa” lì non può funzionare. Non si può pensare di stare rinchiusi nelle capanne dei villaggi o nelle baracche degli slums per intere settimane. Noi comboniane siamo presenti in 34 paesi del mondo dove spesso si sopravvive in condizioni sanitarie molto precarie.
Dobbiamo solo sperare nel buon Dio e che san Daniele Comboni interceda per evitare situazioni con conseguenze inimmaginabili.