La guerra iniziata il 15 aprile scorso avanza senza tregua in Sudan e rende la vita impossibile ai civili soprattutto nel Darfur Occidentale, dove i morti sono saliti a più di 1200.
E’ notizia di poche ore fa che il governatore della regione, Khamis Abakar, è stato ammazzato dalle Rapid Support Forces poco dopo essere comparso in tv per denunciare l’uccisione dei civili.
La città di El-Geneina, nel West Darfur, è sotto assedio dei paramilitari ai comandi del generale Hemedti e la popolazione rischia di morire sotto le bombe dell’aviazione militare.
La comunicazione è stata praticamente interrotta.
«Ho mia madre e la mia famiglia lì ad El-Geneina, la famiglia di mio zio è stata sterminata», racconta Adambosh Nor, portavoce dei rifugiati sudanesi in Italia, intervenuto ieri a Roma in un incontro organizzato dall’agenzia stampa Dire.
L’uccisione del governatore Abakar «segna una nuova escalation nel conflitto», scrive Al Jazeera.
Adam Nor spiega che «le Rapid Support Forces sono entrate quasi subito nella cittadina di El Geneina e hanno cominciato ad attaccare i civili.
La criticità maggiore in Sudan è sicuramente quella del Darfur occidentale».
Aggiunge che, come comunità della diaspora, dall’Italia, stanno «cercando di far passare degli aiuti dal Ciad, ma è molto difficile. La scelta è quella di farli arrivare dal Ciad piuttosto che dall’Egitto perché da lì non escono».
Nur descrive uno scenario apocalittico: «La gente sta in casa, non riescono neanche a seppellire i morti» per paura di venire colpiti.
Le popolazioni del Darfur occidentale e del Kordofan sono in una trappola: l’aviazione militare guidata dal generale Abdel Fattah al-Burhan sgancia bombe dall’alto, sul terreno agiscono invece i paramilitari ex Janjaweed.
In mezzo intere famiglie bloccate, senza possibilità di fuggire nei Paesi limitrofi: anche il Ciad ha chiuso le frontiere, la speranza è quella di poter aprire un corridoio umanitario.