«La situazione in Sudan è stagnante, non si sblocca: continua il muro contro muro tra esercito e manifestanti. Ci sono almeno due o tre manifestazioni a settimana e i militari rispondono bloccando strade e ponti, affinchè la gente non raggiunga i palazzi del potere».
A raccontare, da Khartoum, la sfiancante resistenza della società civile contro il golpe militare che lo scorso 25 ottobre ha deposto il presidente Abdalla Hamdok, è una fonte della Chiesa in Sudan.
«Il dialogo è bloccato – dice – e ha suscitato molta perplessità il fatto che l’esercito abbia nominato 15 ministri senza un primo ministro, con la scusa che il governo deve andare avanti lo stesso, tutto questo in modo unilaterale».
Il movimento pro-democrazia del Sudan, sotto il cappello della Resistance Committee ha sempre rifiutato un accordo giudicato “non paritario” tra i militari e il primo ministro sotto scacco, e ha continuato a manifestare per mesi contro quello che chiama «power grab», o furto di potere da parte dell’esercito.
La reazione dei militari è sempre stata violenta: almeno 78 persone sono state ammazzate in piazza dall’inizio delle proteste ad oggi, secondo quanto riferisce l’associazione dei medici (Doctors Committee) che tiene la conta dei morti.
Un ragazzo di 27 anni ha perso la vita domenica scorsa durante un corteo, quando la polizia ha sparato sulla folla.
«Domenica scorsa è stato emanato l’ordine di chiudere tutte le scuole per due settimane – fa sapere la fonte – ufficialmente per via del Covid: è vero che i casi di infezione sono aumentati ma sembra strano che chiudano le scuole e tutto il resto vada avanti».
Si invita ad avere pazienza e ad aspettare gli eventi dei prossimi giorni: aspettare è il verbo che più di tutti accompagna il Sudan.
(Sul numero di febbraio di Popoli e Missione in distribuzione, un articolo di approfondimento è dedicato al Sudan dal golpe ad oggi. La foto Afp, è tratta dall’articolo sul cartaceo).