Sudan, i salesiani e la difficile vita in una guerra senza tregua

Chiedono corridoi umanitari perchè finora il 'cessate-il-fuoco' non è stato mai del tutto rispettato

Facebooktwitterlinkedinmail

«Tutti in Sudan auspicano un cessate il fuoco durevole che consenta di rimpiazzare le riserve alimentari, di riconnettere le reti idriche e di energia, di consentire i corridoi umanitari che preservino la popolazione dallo scontro armato fra i due eserciti, pari quanto a uomini e mezzi».

Lo scrivono i missionari salesiani in una nota, specificando che quella in corso in Sudan dal 15 aprile scorso, «non è una “guerra civile” dal momento che non c’è in campo altro che la competizione personale dei due generali nemici».

«Il miracolo operato da questi missionari – si legge – si concretizza oggi nel coraggio che ha fatto loro scegliere di non salire sui convogli che hanno portato il personale di organizzazioni straniere nella vicina Gibuti a prendere i voli per i ritorni in patria».

Restano dunque a Karthum e a El-Obeid, nonostante i bombardamenti, per condividere la nuova difficile quotidianità insieme con i parrocchiani e con i collaboratori, per alimentare la speranza di pace.

Durante i primi giorni di combattimento tra i due generali rivali, un ordigno è caduto sul tetto dei laboratori della scuola di formazione professionale San Giuseppe a Khartoum.

«Per fortuna in un momento in cui gli allievi erano altrove – precisano i salesiani – Quasi un miracolo, considerato che di sabato riprende l’attività ordinaria dopo la preghiera del venerdì, secondo le prescrizioni dell’Islam, e le aule tornano a riempirsi.

Sono caduti altri proiettili, senza causare vittime».

Messi in salvo i ragazzi, i religiosi hanno subito attivato un servizio di assistenza alle famiglie che il giorno stesso hanno iniziato a chiedere protezione e assistenza per cibo e, in qualche caso, un ricovero temporaneo.

L’inizio della presenza salesiana in questo Paese-ponte fra Etiopia ed Egitto risale a più di 40 anni fa, ed «è sempre stata caratterizzata da una progressiva presa di fiducia reciproca», dicono.

L’inviato straordinario della congregazione salesiana, don Václav Klement, aveva incontrato nell’aprile dello scorso anno i tredici confratelli distribuiti in 3 comunità: una parrocchia che anima 25.000 fedeli e 8 scuole primarie parrocchiali, due Centri di Formazione Professionale, uno per città, che accolgono circa 800 giovani.

Inoltre i Sudanesi che fuggono troveranno altri salesiani pronti ad accoglierli in alcune delle località
dove arriveranno, come a Juba, in Sud Sudan, dove i Figli di Don Bosco sono presenti nel campo profughi sorto per accogliere le popolazioni vittime dell’integralismo dei precedenti regimi di Karthoum.