La guerra in Sudan non è affatto terminata, sta entrando anzi in una nuova fase molto drammatica e sempre più simile ad una guerra civile.
L’esercito governativo prende di mira i civili rimasti nel Darfur o nel Kordofan, accusandoli di «essere spie o collaboratori dei paramilitari».
Dal 15 aprile 2023 (data di inizio dei combattimenti tra le Rapid Support Forces e l’esercito governativo) ad oggi, si contano in Sudan oltre 13mila morti; migliaia sfollati interni, profughi e famiglie smembrate hanno lasciato le zone ‘calde’ del Paese.
A fornire aggiornamenti costanti sul conflitto che vede oramai i paramilitari delle RSF «preparare una nuova fase della guerra per il 2024», è il portale ACLED (The Armed Conflict Location & Event Data Project).
Dati e notizie aggiornati sugli ultimi eventi sono riportati con grande meticolosità (clicca qui).
Le Rapid Forces in Sudan hanno ‘turned the tide’, scrive ACLED, ossia «hanno invertito la rotta» e «preso il sopravvento» sull’esercito.
All’interno del Paese diverse campagne di mobilitazione incitano il popolo all’autodifesa e molte milizie etniche si stanno attivando contro le Rapid Support Forces nelle aree controllate dall’esercito.
Questa “inversione” di tendenza comporta una trasformazione del conflitto in guerra civile.
«Dall’altro lato – si legge sul sito ACLED – la leadership delle RSF cerca legittimazione sia dentro che fuori dal Paese e si prepara ad una nuova fase della guerra, nel corso del 2024».
Al Jazeera in un reportage allarmante pubblicato oggi (clicca qui) racconta il calvario dei civili accusati dai militari di essere “spie” o collaboratori dei paramilitari.
«I sopravvissuti dicono che le forze di sicurezza prendono costantemente di mira le persone originarie del Kordofan, nel Sud del Sudan, o del Darfur, ad ovest; aree tradizionalmente vicine alle Rapid Support Forces», scrive Al Jazeera.
Inoltre i militari accusano la gente comune (che ha la sfortuna di vivere nelle zone occupate dai paramilitari), di essere “cellule dormienti” dei ribelli.
Un inferno per gli abitanti che sono rimasti nel Paese, e un rischio di precipitare in una guerra del “tutti contro tutti”, con la distruzione totale di ciò che resta del Sudan massacrato.