Il Sud Sudan ha appena festeggiato i dieci dell’indipendenza (ricorrenza che cade il 9 luglio), ma ancora deve fare i conti con una pace fragile che stenta a consolidarsi e con un Paese frammentato sebbene sulla strada della riunificazione.
Avrà dunque bisogno di tutto il sostegno della comunità internazionale, dopo aver ricevuto quello della Chiesa cattolica che da anni spinge verso la pacificazione tra fazioni antagoniste e leader ribelli.
A dirlo sono gli esponenti della Caritas locale e i nostri missionari in Sud Sudan. I principali partiti politici (SPLM, SFLA-I0, SSOA, SSOPP) hanno recentemente firmato un accordo di pace e lo sostengono. I diversi eserciti si sono uniti e vengono ora addestrati al fine di formarne uno nazionale. Il Consiglio di Stato e i consigli legislativi sono stati formati e i membri delle due camere del Parlamento hanno prestato giuramento.
La Chiesa ha sempre spinto nella direzione della pace e unificazione del Paese: sia Caritas che i missionari di diverse congregazioni sono in Sud Sudan per sostenere la popolazione locale nel difficile cammino verso la costruzione della nazione.
«Questa è un’opportunità d’oro per la comunità internazionale di sostenere la costruzione della nazione – ha commentato Gabriel Yai, direttore di Caritas Sud Sudan – Il nostro Paese ha più che mai bisogno di un supporto politico internazionale al fine di consolidare l’emancipazione politica dei leader e di formare un esercito statale che protegga il proprio popolo».
«La nostra nazione avrebbe potuto iniziare questo processo appena in seguito all’indipendenza, se solo la comunità internazionale fosse stata presente per accompagnare la transizione facilitando la costruzione di un’autonomia politica nazionale e la formazione di vertici politici e amministrativi», continua Gabriel Yai.
Il processo di pace negli ultimi anni è stato segnato da gravi conflitti: «la Chiesa e Caritas sono state le uniche mani premurose che hanno aiutato gli sfollati interni e i rimpatriati».
I nostri missionari presenti in Sud Sudan ci raccontano un Paese dilaniato, povero e in guerra con se stesso, per via delle molte fazioni ribelli in campo.
Il Paese deve fare i conti con una «pace fragile». La strada è ancora lunga e «gli ostacoli sono molti».
Quasi sette anni di guerra civile, dopo l’indipendenza dal Sudan, hanno stremato un popolo che ancora vive in gran parte nei campi per sfollati e rifugiati delle Nazioni Unite, questo ci raccontava qualche tempo fa padre Christian Carlassare, missionario comboniano, attuale vescovo di Rumbek.
«La violenza è purtroppo molto diffusa. Soprattutto, esistono report di Ong che testimoniano aggressioni ai civili da parte di gente in divisa militare, comprese gravi violazioni e violenze sessuali», spiegava Carlassare. (clicca qui per l’intervista).
«Durante il culmine della guerra, Caritas ha intrapreso un’attività di risposta alle emergenze in tutto il Paese, senza operare alcuna distinzione in base all’appartenenza tribale delle persone», mentre i leader della Chiesa cattolica erano al tavolo delle trattative per parlare di pace e armonia con le diverse fazioni in guerra.
La Chiesa assieme a tutte le confessioni cristiane, ha motivato e incoraggiato le diverse parti a partecipare alle trattative di pace e invitato i due leader Salva Kiir e Riek Machar ad unirsi a loro.
Oggi si intravedono barlumi di speranza per il giovane Stato che devono essere alimentati e sostenuti, come sottolinea il segretario generale di Caritas Internationalis, Aloysius John.
«Per sopravvivere, il Sud Sudan ha bisogno di aiuti internazionali al fine di costruire la nazione attraverso programmi di micro sviluppo nelle zone rurali dove la terra è ancora fertile».