In Sud Sudan l’avanzamento dell’accordo di pace procede a singhiozzo, il Paese vive un precario equilibrio basato sul riconoscimento reciproco dei gruppi armati in guerra fino al 2018.
Oggi, pur riluttanti, questi gruppi sono obbligati a stare assieme nel nuovo esercito nazionale, ma l’intesa è traballante e sempre sul punto di interrompersi, come spiega l’ultimo report delle Nazioni Unite.
«In questo momento l’aspetto chiave dell’accordo di pace del 2018 è l’integrazione dei diversi gruppi nelle forze armate del Sud Sudan; gruppi che durante la guerra si sono combattuti e che dopo il disarmo hanno dovuto trovare un’intesa».
A spiegarci il progredire lento ma necessario della politica interna nel Paese che attende il voto del 2023 è suor Elena Balatti, comboniana.
Il «processo di pace va per le lunghe», dice la suora, ma si spera davvero che non ci siano altri intoppi: su questo si scommette tutto il futuro di un Paese che ha solo 11 anni di vita.
Dopo l’indipendenza dal Sudan raggiunta nel 2011 è iniziata una guerra civile tra le forze governative leali al presidente Salva Kiir e quelle legate al suo rivale, Riek Machar.
La guerriglia però non si è mai davvero placata del tutto.
«Intuitivamente si capisce bene che quando l’esercito risponde ad un comando unificato, e ad un unico centro di potere, la possibilità che ci siano disordini diminuisce – spiega la comboniana – quando c’è divisione la violenza aumenta. L’ultimo importante caposaldo dell’accordo sono le elezioni politiche».
Suor Balatti, che vive in Sud Sudan da oltre dieci anni conosce bene le dinamiche interne e i rischi, ma anche le grandi risorse del Paese:
«E’ una terra fertilissima e molto ricca di minerali, l’agricoltura oltre al petrolio, resta la principale risorsa della gente. Certo soffriamo degli effetti dei cambiamenti climatici e di piogge che arrivano o troppo presto o troppo tardi;
Ci sono ancora molti disagi e mancano infrastrutture e vie di collegamento, ma trovare stabilità ed evitare la violenza è un punto d’arrivo».
La preparazione per le elezioni del prossimo anno è qualcosa di enorme:
«sara’ un evento che garantirà la presenza di un nuovo governo e una certa stabilità politica al Paese, ma c’è ancora molto molto da fare e il 2023 è vicino», spiega.
«La registrazione degli elettori e degli aventi diritto sembra banale ma è uno degli elementi più importanti: non è ben chiaro se potranno essere inclusi uno o due milioni di cittadini sfollati e rifugiati all’estero. Se la registrazione viene fatta con trasparenza le elezioni apriranno un periodo di calma e senza scontri».
Altrimenti la divisione etnica potrebbe anche riacutizzarsi.
Per quanto riguarda l’attuale situazione sanitaria: «il Covid è un problema e la popolazione va incoraggiata a vaccinarsi, ma ci sono altri problemi di salute più preoccupanti», spiega la missionaria.
«La malaria, ad esempio e malattie legati all’acqua non potabile, come la salmonellosi che se non curata può essere fatale».