Dalla diocesi di Neuquen, in Patagonia, nell'Argentina.

Storia di suor Dionella e della visita alle carceri della Patagonia

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Il giovedì è il giorno della mia settimana consacrato alle carceri.

E’ il giorno di tante storie, tante vite, tante famiglie avvolte nel dolore, nella solitudine, nella speranza, nel ricordo, negli affetti vivi e scordati.

Nella paura, nel grido doloroso e di speranza fugace e perseverante di una libertà perduta che anela misericordia, tenerezza, una parola, uno sguardo senza pregiudizi, un abbraccio, un sorriso, una stretta di mano, un bacio.

E’ il giorno del mistero inesplicabile che avvolge e accompagna ogni persona, ogni avvenimento, ogni avventura.

Da alcuni anni, infatti, entriamo nelle carceri, come Mosè nel monte Oreb, in questo santuario dove molte persone stanno scontando la loro pena di dolore nella speranza.

Queste carceri di massima sicurezza sono situate a pochi chilometri da Centenario Neuquen (Argentina), dove noi suore Francescane Elisabettine viviamo in comunità nella via Pablo Neruda.

Ogni settimana visitiamo i nostri amici e fratelli privi di libertà.

Le regole di controllo della persona sono molto rigorose, eseguite dal personale della portineria.

Dopo la consegna dei documenti, attraversiamo un grande cortile che è anche un campo sportivo. Alla porta del padiglione, una guardia di sicurezza ci domanda nome e cognome per registrarli in un album.

Riconosciuti come volontari della pastorale carceraria cattolica, ci aprono il primo cancello di ferro.

I catenacci sono assordanti e stridenti ma la chiave che sblocca i grandi lucchetti ci permette di entrare.

La polizia chiude subito il cancello dopo di noi, per aprire un’altra porta di ferro che ci sta davanti.

Questa manovra si ripete per quattro volte, in successione. 

(Prosegue)

(Questo racconto per intero è pubblicato sul numero di luglio-agosto di Popoli e Missione).