Sri Lanka, le Tigri Tamil e gli elefanti bianchi cinesi

Intervista esclusiva all'analista Alan Keenan dell’International Crisis Group.

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Crimini di guerra, denunce di genocidio, attentati di Pasqua sospetti, governanti rapaci. L’analista Alan Keenan dell’International Crisis Group spiega a Popoli e Missione la recessione che ha raddoppiato i livelli di povertà negli ultimi due anni.  

A un anno e mezzo dalle proteste popolari e dal default, lo Sri Lanka si trascina in una crisi pesantissima. In base ai dati Onu, su una popolazione di 22 milioni, più di sei non possono permettersi un’adeguata alimentazione e necessitano di assistenza umanitaria e il 17% dei bambini sotto i cinque anni ha disturbi della crescita.

Il rischio è che la situazione peggiori nell’indifferenza quasi totale della comunità internazionale, con la convinzione falsata che si tratti “solamente” di una questione di casse statali.

La famiglia allargata dei Rajapaksa ha contribuito con la sua rapacità (e gestione dissennata delle risorse), al fallimento del Paese asiatico.

Tuttavia, la questione è più profonda perché i fratelli Mahinda e Gotabaya Rajapaksa – costretti a lasciare il potere dalle manifestazioni di massa del 2022 – hanno trasformato il regime in una cleptocrazia, dove un’élite di parenti e fedelissimi si è arricchita a discapito della popolazione e dei principi democratici.

Mahinda è stato presidente dal 2005 al 2015 e premier dal 2019 all’anno scorso.

Gotabaya ha guidato il ministero della Difesa dal 2005 al 2015, negli ultimi anni del conflitto fra esercito governativo, rappresentante della maggioranza cingalese buddista, e guerriglieri delle Tigri Tamil che hanno combattuto per l’indipendenza del Nord est prevalentemente indù.

Ha poi ricoperto il ruolo di capo dello Stato fra il 2019 e il luglio 2022.

Nella guerra civile (1983-2009) sono state commesse atrocità di ogni tipo, tra cui l’utilizzo di bambini soldato, stupri ed esecuzioni.

Si contano 80mila morti e 65mila scomparsi. Una delle pagine più buie è stata scritta nella fase finale dell’offensiva militare.

Negli ultimi due anni (2008-2009) i Rajapaksa sono riusciti a vincere una lunga guerra, ma solamente “grazie” a massacri di migliaia di innocenti e a ingenti rifornimenti di armi da parte della Cina.

La diaspora tamil denuncia «un genocidio sistematico che dura da 70 anni» sebbene le Tigri abbiano commesso anch’esse innumerevoli abusi.

Di genocidio si è tornati a parlare per il periodo da febbraio a maggio 2009, quando l’esercito ha bombardato di continuo il villaggio di Mullivaikkal.

Uno dei più autorevoli esperti di Sri Lanka, l’analista Alan Keenan dell’International Crisis Group- ICG, spiega a Popoli e Missione questa complessa situazione e come si possano raggiungere verità e giustizia anche per gli attentati della Pasqua 2019.

Un piccolo gruppo jihadista locale attaccò chiese cattoliche e hotel, causando 269 morti tra i quali 45 stranieri.

Partiamo dalla crisi: «Sotto il nuovo presidente Ranil Wickremesinghe l’inflazione è scesa – dice Keenan -, si riescono a importare benzina e altri beni essenziali, ma siamo nel mezzo di una grave recessione.

Milioni di appartenenti alla classe media e medio bassa hanno conosciuto la miseria. Altrettanti hanno perso il lavoro e si sono indebitati.

La povertà è più che raddoppiata negli ultimi due anni. E l’unica soluzione offerta loro è l’austerità».

Lo scorso marzo il governo ha finalmente raggiunto un accordo con il Fondo Monetario Internazionale-Fmi che erogherà 2,9 miliardi di dollari in quattro anni. Una somma “piccola” a condizioni rigide: si richiedono riforme economiche strutturali che comportano per esempio l’aumento delle tasse e la sospensione di alcuni sussidi.

Keenan aggiunge: «Molti srilankesi temono che l’Fmi possa agevolare solo i ricchi e le banche.

La grande questione politica è se con il suo intervento possa aiutare la popolazione e occuparsi di problemi politici che hanno contribuito alla crisi, come cattiva amministrazione, corruzione, abuso e centralizzazione del potere».

La delusione degli srilankesi si è estesa all’attuale governo.

«Ha represso l’eccezionale Aragalaya (lotta popolare, ndr.) che ha riunito per la prima volta persone da tutto il Paese, di ogni etnia e classe sociale, in nome di un cambiamento politico» ricorda lo studioso dell’ICG.

«Dopo che Wickremesinghe è stato eletto dal parlamento, la polizia ha disperso i manifestanti, li ha arrestati, incarcerati, facendo leva in alcuni casi su leggi anti-terrorismo.

Wickremesinghe guida lo Sri Lanka assieme alla maggioranza parlamentare di prima, composta dagli stessi partiti che hanno portato alla crisi, legati alla famiglia Rajapaksa».

Si stanno diffondendo sentimenti di diffidenza anche verso la Cina, che negli ultimi 15 anni ha aumentato incredibilmente la sua influenza economica e politica in Sri Lanka. Alan Keenan ribadisce:

«A partire dagli ultimi due anni di guerra i prestiti e le armi cinesi hanno permesso ai Rajapaksa di sconfiggere le Tigri Tamil e di diventare molto potenti».

Attraverso la Belt and Road Initiative o Nuova Via della Seta «tantissimi soldi – continua l’esperto – sono affluiti per progetti di infrastrutture rivelatesi scandalose.

Nell’aeroporto internazionale di Matala, costruito vicino alla dimora dei Rajapaksa, sono transitati pochissimi aerei.

E si teme che il porto di Hambantota sull’Oceano Indiano, concesso in leasing a un’azienda cinese per 99 anni, diventi una base per la marina militare di Pechino».

La posizione strategica dello Sri Lanka lo rende oggi più che mai un terreno di competizione fra Cina e India, Cina e Stati Uniti, democrazie, democrature e autocrazie.

Nel nuovo assetto geopolitico, conseguente alla pandemia e all’invasione russa dell’Ucraina, che hanno afflitto duramente lo Sri Lanka, il premier indiano Narendra Modi è corso ai ripari.

Ha spinto assieme a Francia e Giappone per un accordo con l’Fmi.

Ha rinnovato la cooperazione commerciale nelle energie rinnovabili e discusso con Wickremesinghe della costruzione di un oleodotto, di reti elettriche sottomarine, di un ponte che unisca i due Paesi, di un porto e di un hub commerciale nella città nordorientale Trincomalee.

Inoltre, il colosso indiano Tata sarebbe interessato alla compagnia aerea di bandiera srilankese.

 “Elefanti bianchi”, così chiamano in Sri Lanka i megaprogetti cinesi rimasti incompiuti o deserti, ai quali si aggiunge il nuovo porto di Colombo con la sua zona industriale e la sua sabbia artificiale.

Gli studiosi hanno opinioni divergenti sul fatto che il debito nei confronti della Cina abbia condotto lo Sri Lanka alla bancarotta.

Alan Keenan, però, di una cosa è sicuro: «I prestiti cinesi per opere molto costose non hanno prodotto grandi benefici economici per il Paese e la sua gente».

Avrebbero, al contrario, arricchito l’entourage Rajapaksa e diversi monaci buddisti che sin dall’indipendenza dal Regno Unito aiutano i regimi a rafforzare il nazionalismo cingalese su base religiosa.

Sebbene non ci siano prove giudiziarie, si sa che molti contratti erano poco trasparenti, basati su prezzi gonfiati con probabili extra profitti per chi li ha firmati.

La giustizia non riesce a fare il suo corso in Sri Lanka, in nessun campo.

Il Consiglio Onu per i Diritti Umani, dopo alcune risoluzioni, è riuscito a raccogliere dati sulle violazioni del diritto umanitario internazionale, ma da ultimo sono i governi che vi aderiscono a dover chiedere la prosecuzione dei casi.

Dopo 14 anni dalla fine della guerra, i governi hanno preferito l’impunità.

Human Rights Watch ha denunciato che vari testimoni, come i familiari degli scomparsi, sono vittime di intimidazioni. Il dissenso è silenziato.

Le comunità tamil e musulmane subiscono il landgrabbing, ovvero l’espropriazione forzata delle loro terre, dei loro luoghi di culto, oltre a una perdurante militarizzazione.

La Corte Penale Internazionale, con sede all’Aja, può essere difficilmente coinvolta perché lo Sri Lanka non ha firmato lo statuto di Roma che l’ha fondata.

Alcuni gruppi stanno sottoponendo alla Corte Internazionale di Giustizia le denunce di genocidio dei tamil, ma si tratta di una lunga strada da percorrere.

Secondo Keenan, l’opzione migliore sarebbe che i singoli governi si occupassero dei crimini che hanno colpito i loro cittadini.

Si potrebbe partire proprio dagli attacchi terroristici di Pasqua, dove morirono e rimasero feriti molti stranieri.

Si sta, inoltre, diffondendo il sospetto che l’intelligence e lo stesso governo sapessero o addirittura abbiano organizzato le stragi per facilitare la rielezione dei Rajapaksa.

Per ora non si può confermarlo, ma di certo la polizia è stata ostruita nelle indagini.

L’unica “via giusta” passa da un’inchiesta internazionale che il cardinale e arcivescovo di Colombo, Malcolm Ranjith, chiede con fermezza per i cattolici uccisi e per tutti gli srilankesi.

A nessuno conviene che lo Sri Lanka rimanga tanto diviso, instabile o addirittura sull’orlo di nuovi conflitti.