La presenza della Chiesa cattolica nella realtà asiatica vede caratteristiche diverse a seconda dei Paesi: restano sacche di grande resistenza al cambiamento. Ce ne parla padre Vimal Tirimanna, membro della Commissione teologica sinodale sin dalla fase preparatoria.
«E’ una grande occasione per la Chiesa in Asia questo Sinodo.
L’occasione irripetibile per un cammino di crescita comunitaria di una piccola minoranza, dato che nel continente più popoloso del mondo Asia vivono più di 3,8 miliardi di persone, molto più della metà di tutta la popolazione mondiale, ma i cattolici sono circa il 3%».
Così padre Vimal Tirimanna, 66 anni, Redentorista, nato in Sri Lanka, membro della Commissione teologica sinodale sin dalla fase preparatoria, parla dell’importante appuntamento ecclesiale a cui le Chiese del continente asiatico si presentano con peculiarità diverse e aspettative di rinnovamento.
La sinodalità è un modo di vivere, di ascoltarsi reciprocamente, per formare una cultura estroversa da vivere ovunque, a partire dalla famiglia.
Infatti, spiega ancora Tirimanna, «dobbiamo combattere il clericalismo, una vera e propria malattia nella Chiesa, un problema evidenziato dappertutto nel mondo, nei villaggi come nelle città;
c’è grande bisogno di buone omelie, bisogno di trasparenza nei processi decisionali per quanto riguarda le finanze nelle parrocchie, diocesi, nella Chiesa; importanza della sinodalità nella liturgia, dove al centro delle celebrazioni non c’è più solo il sacerdote.
Non bisogna lasciare che gli altri siano solo spettatori, è importante che tutti siano coinvolti».
Padre Tirimanna è da oltre 20 anni a Roma dove insegna alla Pontificia Università Urbaniana e alla Accademia Alfonsiana (dove negli anni Novanta era stato studente), ed è stato Segretario esecutivo della Commissione teologica dei vescovi asiatici, una rete che si chiama Federation of asian bishop conference-Fabc.
«Quando il papa ha convocato il processo sinodale voleva mettere in pratica gli insegnamenti del Concilio, che per la prima volta nella storia recente ha messo in chiaro che la Chiesa non è limitata alla sola gerarchia – spiega -.
La Chiesa è tutto il popolo di Dio, cioè tutti battezzati. Per questo il papa ha invocato un concetto antichissimo, ancora oggi molto usato dalle Chiese orientali: la sinodalità».
Nel febbraio scorso si sono riuniti nel Baan Phu Waan, il Centro di formazione pastorale dell’arcidiocesi di Bangkok, i delegati dei 29 Paesi d’Asia che costituiscono la Fabc per condividere i temi che caratterizzano le comunità locali e preparare un documento finale che si presenterà come contributo per la stesura dell’Instrumentum laboris del Sinodo.
«A Bangkok erano presenti 80 partecipanti: 29 vescovi, 28 sacerdoti, quattro suore 19 laici di cui sette uomini e 12 donne – spiega padre Tirimanna-. Per la prima volta il Popolo di Dio si è riunito ma nemmeno un quarto era composto dai laici.
Ricordiamo che in Asia (come altrove) il clero è meno dell’1% dei battezzati, mentre il 99% sono non chierici.
Nell’incontro sin dall’inizio c’era una intensa atmosfera di grande spiritualità, sono emerse caratteristiche importanti: innanzitutto l’esigenza di vivere la sinodalità.
È necessaria una certa formazione nell’ambito della sinodalità, perché nessuno sia straniero nella Chiesa».
In questo continente l’evangelizzazione deve avere caratteristiche particolari, il «Vangelo non può essere proclamato in modo aggressivo.
È necessario un triplice dialogo: con le religioni asiatiche (tutte le religioni sono nate in asia, Gesù era un asiatico) con le culture antichissime, ovvero con milioni di persone, molte delle quali povere; attraverso la testimonianza come è stato sottolineato anche da Giovanni Paolo II nell’Ecclesia in Asia».