Mentre in Italia si polemizza sulle scelte di pace concrete del Pontefice per la via Crucis, in uno dei Paesi più incontaminati al mondo, in Oceania, ci si prepara ad un Triduo pasquale davvero partecipato.
A parlarcene è suor Anna Maria Gervasoni, missionaria delle Figlie di Maria Ausiliatrice, a Gizo da vari anni.
Qui alle Isole Salomone la gente ama molto la rappresentazione partecipata della Pasqua.
Praticamente in ogni parrocchia il Venerdì Santo è immancabile la recita della passione di Cristo.
Ogni anno (eccetto nel 2020, quando eravamo in lock down precauzionale) a Gizo il gruppo giovani si organizza per preparare la “Via Crucis vivente”.
Si parte dalla casa di preghiera della diocesi, sulle colline alle spalle della città, per poi scendere verso la cattedrale, percorrendo le strade con le 14 stazioni della Via Crucis.
La partenza è alle 6 di mattina, per terminare in chiesa verso le 9, quando il sole non è ancora troppo forte. L’iniziativa è sempre molto partecipata, specialmente dai bambini, che seguono il percorso affascinati da Gesù, obbligato a portare una croce enorme e continuamente spintonato, frustato e oltraggiato dai soldati romani.
Lungo il percorso ci sono le croci delle stazioni, dove gli attori si fermano per rappresentare la “stazione” come un quadro, mentre il lettore proclama la Parola di Dio e guida i fedeli alla riflessione e alla preghiera. Poi si procede alla tappa successiva.
Nella capitale, Honiara, la Passione di Cristo viene rappresentata contemporaneamente in ben quattro luoghi diversi per permettere alla maggior parte dei fedeli di partecipare e pregare insieme. Qui il Venerdì Santo è vacanza per tutti.
Ma la Veglia di Pasqua è il culmine delle celebrazioni e delle recite. Dove è possibile, si mettono in scena le scritture dell’Antico Testamento mentre vengono proclamate dall’ambone.
A Gizo è tradizione che i bambini della catechesi, il gruppo degli uomini e le mamme della parrocchia rappresentino tre dei sette brani letti normalmente in questa Messa: la storia della Creazione, il sacrificio di Isacco e il passaggio del Mar Rosso.
Non ci sono parole per descrivere la semplicità creativa di questi tre gruppi nel trasformare il presbiterio della cattedrale in un giardino incantato, ricostruito con piante vere e frutti appetitosi.
Mentre il narratore percorre le sette giornate della Creazione, alcuni bambini, indossando stoffe colorate, “svolazzano” tra gli alberi, altri “nuotano” come pesci sotto un telone azzurro, e gruppi di maialini, cani, gatti, lucertole e coccodrilli passeggiano nel giardino improvvisato.
Infine arrivano Adamo ed Eva: un ragazzo e una ragazza in costume tradizionale che, usciti dalla sacrestia, si uniscono alla compagnia.
Devo dire che in quel momento è evidente a tutti come davvero l’Uomo è il culmine della Creazione, è il più bello di tutte le creature, è veramente “il figlio”.
E il più bello di tutti è il Cristo, che celebriamo proprio quella notte nel suo splendore di Figlio di Dio, obbediente fino alla Croce.
Poi si procede al sacrificio di Isacco: nella recita i protagonisti sono rappresentati da due uomini che hanno praticamente la stessa età, anziché essere padre e figlio (Abramo e Isacco).
Si tratta di due papà, quasi nonni, mentre l’asino che trasporta la legna è un peluche gigante, sempre lo stesso, arrivato da chissà dove, che alla sua entrata in scena provoca l’immancabile risata di tutti.
Potete immaginare come in questo caso la recita non sia affatto drammatica: ogni volta i due attori enfatizzano il momento del sacrificio, uno tremando esageratamente, l’altro estraendo dal mantello un’enorme spada giocattolo.
Anche il passaggio del Mar Rosso è più comico che meditativo.
Quando il narratore introduce il popolo di Israele, dalle porte della cattedrale una marea di bambini, donne e ragazze, vestiti più o meno come gli ebrei di allora, entrano carichi di ogni ben di Dio: catini di plastica sulla testa con dentro frutta o biancheria, sedie pieghevoli, stuoie di paglia intrecciata, ombrelli aperti, materassi, sacchi di riso.
A capo di tutti c’è Mosè (una mamma con una lunga barba di bambagia).
La recita procede tutta su questo tono, con i soldati del faraone guidati da una mamma che è il clown della nostra parrocchia e rende l’inseguimento così esilarante che il lettore a stento riesce a farsi sentire tra le risate dell’assemblea dei fedeli.
Da quando sono a Gizo è sempre così, con qualche minima variante, e nessuno è mai stanco di vedere queste recite e di gioirne. Devo dire che noi festeggiamo proprio il Signore Risorto nella gioia!
Vi lascio con il messaggio che abbiamo ricevuto alla veglia della scorsa Pasqua: l’Uomo è il culmine della creazione e, nonostante i suoi limiti, rimane il più bello delle creature.
La sua vita va custodita, fatta crescere e amata per quella che è.
La speranza della vittoria di Cristo sulla morte deve essere anche la speranza di vedere la luce nella vita di ciascuno di noi, una luce che vuole brillare.
Aiutiamoci a farla emergere con amore e pazienza, senza mai scoraggiarci, perché noi siamo un popolo di risorti.