Sono passati 64 anni da quel 30 giugno 1960 quando, dopo anni di lotta, il Congo Belga ottenne l'”indipendenza” dal Regno del Belgio.
Divenne Repubblica del Congo e poi Repubblica Democratica del Congo, dal 1997 ad oggi.
Ma, «a distanza di oltre sei decenni ci si chiede cosa sia rimasto di democratico» e «cosa alimenti l’illusione di cambiamento».
Un cambiamento che Patrice Lumumba, «primo ministro eletto, auspicò nel discorso del 30 giugno 1960, davanti a re Baldovino I e che inseguì nei mesi successivi fino al suo assassinio il 17 gennaio 1961».
Tutto ciò lo ricorda John Mpaliza, storico attivista di origini congolesi da anni in Italia:
«dal 1996 il Congo è vittima di una guerra economica – dice – di sfruttamento da parte delle multinazionali della tecnologia e di saccheggio da parte del Ruanda (paese grande quanto la Sicilia) ed i suoi suppletivi (movimento M23)».
In queste ore la città di
Beni, nel Nord Kivu, è ad un passo dall’invasione: i
gruppi armati sono già arrivati alle
porte della città e le milizie dell’M23 hanno occupato la città strategica di
Kanyabayonga, a un centinaio di km a nord di
Goma.
Sul web circolano video e foto che mostrano l’arrivo ‘indisturbato’ dei ribelli.
Il rischio per tutta la regione è molto elevato.
«I minerali strategici usati nella nostra tecnologia vengono saccheggiati ed esportati illegalmente tramite i paesi vicini, il Ruanda in primis», denuncia Mpaliza.
«Il conflitto che da quasi tre decenni insanguina il Paese ha già fatto più di 10 milioni di vittime, e oggi, 30 giugno 2024, una bella parte del grande Kivu è controllata dal movimento M23 e dal Ruanda», ricorda.
Il Paese è schiacciato sia da questa milizia che dall’ADF (e da molte altre), di matrice islamista, che imperversa più nella zona dell’Ituri, sempre ad Est.
E a questo proposito don Jean de Dieu Kahongya Nduhi Ya Vusa, congolese e viceparroco di Chiusi Scalo, partito di recente per una visita in Congo racconta:
«Sono ritornato da Masereka e dintorni: è stata un’esperienza molto pesante e impegnativa con numerosi incontri e servizi insieme alla Caritas a favore delle migliaia di rifugiati».
E come prosegue don Jean, «la zona è sotto controllo dei Wazelendo (milizie armate di civili ndr.) e con tanti rifugiati venuti dai villaggi e dalle città stiamo vivendo una situazione di guerra e di grande insicurezza».
Secondo le testimonianze dei rifugiati venuti dalla zona dell’Ovest (Biambwe-Njiapanda- Cantine) «abbiamo capito che ogni giorno si vive una vera tragedia: i terroristi che si dicono islamici indossano la divisa dell’ esercito del governo e così ingannano facilmente la popolazione.
«A Butembo – conclude – ci sono state anche tante manifestazioni per denunciare l’atteggiamento complice di certi politici, autorità militari e componenti della missione ONU e il silenzio e i discorsi menzogneri del governo. Anche la mia famiglia è in lutto».
Il sacerdote racconta che due suoi cugini, Albéric 53 anni e Serge 45 anni, «sono stati uccisi negli ultimi attacchi dei terroristi islamici contro la popolazione a Manguridjipa. Vi chiediamo preghiere!».
Il pericolo dunque è duplice: da una parte le milizie islamiste che uccidono prevalentemente i cristiani, ma non solo;
dall’altra l’M23 che sta conquistando le zone di confine del Nord Kivu con il Ruanda, come ricordava Mpaliza.
Che fare? «Potremmo, noi in Italia ed in Europa, iniziare col denunciare l’accordo firmato il 19 febbraio dall’UE e il Ruanda per l’approvvigionamento in minerali strategici e critici (coltan, oro, tungsteno, cobalto, etc) che sappiamo invece provenire dal Congo», suggerisce l’attivista.
«Per farlo potete firmare la petizione qui sotto.
(https://www.change.org/p/no-allo-scandaloso-accordo-tra-ue-e-rwanda-sui-minerali-del-congo)
Vorrei, in seguito, invitare la gioventù congolese ad impegnarsi sempre di più ed a seguire l’esempio dato dai loro coetanei di tanti paesi africani (come il Kenya ndr.) che stanno lottando per una vera e reale liberazione ed indipendenza».
(Foto in bianco e nero: Stefano Stranges, minatori nei giacimenti di coltan).