Ad Haiti, la situazione è sempre più drammatica, nel silenzio dei media occidentali che, dopo aver dato un po’ di visibilità alla “Perla dei Caraibi” la scorsa estate quando 15 mercenari colombiani uccisero il presidente Jovenel Moïse e un sisma fece migliaia di vittime, oggi tacciono sull’ultima emergenza.
La peggiore, perchè vede la dissoluzione di Haiti come Stato.
Uno Stato oramai totalmente assente di fronte allo strapotere delle bande armate che si contendono interi quartieri della capitale Port-au-Prince.
Inascoltata, la Conferenza episcopale haitiana lo scorso febbraio ha lanciato un accorato appello per fermare la violenza.
I vescovi hanno chiesto ai responsabili politici di «fare tutto il possibile per ristabilire l’ordine, la pace, la sicurezza e il rispetto della vita» ma soprattutto si sono rivolti ai gruppi armati che nell’impunità totale «seminano violenza, paura, morte, lutto, desolazione e angoscia» affinché «depongano fucili e pistole, rinunciando alla violenza e ai sequestri, e smettendo di spargere il sangue dei vostri fratelli e sorelle».
All’inizio dello scorso maggio anche l’Onu ha diramato un duro comunicato per denunciare l’ultima “moda” delle gang, ovvero il reclutamento dei bambini, usati come carne da macello.
Le Nazioni Unite sono preoccupatissime per «il reclutamento di minori, una delle più gravi violazioni dei diritti dell’infanzia».
La denuncia arriva mentre il controllo delle bande continua ad allargarsi nei sobborghi settentrionali e orientali della capitale dove si vive «uccidendo centinaia di haitiani e sfollandone migliaia di altri».
«Chiedo alla comunità internazionale di raddoppiare gli sforzi per evitare che la situazione diventi ancora più incontrollabile» ha esortato a fine maggio Michelle Bachelet, Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, in risposta all‘escalation di violenza che «ha raggiunto ormai livelli inimmaginabili e intollerabili ad Haiti».
La guerra delle gang
Oltre a reclutare minori, la guerra per il territorio capitolino tra le cinque gang haitiane più violente, ovvero i 400 Mawozo, la Chen Mechan, il G9 an Fanmi e Alye, la Potiá e il 5 Segonn, impediscono dallo scorso aprile ad oltre mezzo milione di bambini di andare a scuola.
L’Unicef stima che a fine maggio erano 1.700 le scuole chiuse a causa delle sparatorie, 772 delle quali a Port-au-Prince. «Le famiglie, le donne e i bambini hanno paura di uscire di c
asa, nessuno può andare a scuola mentre i proiettili sibilano in aria» denuncia Bruno Maes di Unicef Haiti.
In questa guerra non dichiarata, sono proprio i bambini le vittime più vulnerabili, come denuncia il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia, sottolineando senza giri di parole che gli atti di violenza includono decapitazioni, mutilazioni e bruciature di corpi, oltre all’uccisione di bambini accusati di essere informatori di bande rivali.
Anche la violenza sessuale, compreso lo stupro di gruppo di bambini, è stata perpetrata dai criminali che oggi gestiscono, mitra alla mano, quasi tutti i settori economici del Paese, dalla vendita della benzina al traffico dei migranti.
E che reclutano sempre più minori tra le loro fila. A mostrare questa cruda realtà, un video diffuso su YouTube lo scorso 27 aprile e subito diventato virale sui social network.
Nel video si vede un bambino di 10 anni con il volto coperto da un passamontagna rosso sventaglia un’arma automatica di grosso calibro. Nella clip, girata a Martissant, uno slum nella parte occidentale di Port-au-Prince sotto il pieno controllo di una gang dal giugno 2021, il piccolo spiega di essere «orgoglioso di fare la guerra».
A compiere questo turpe reclutamento sono soprattutto la Chen Mechan e i 400 Mawozo, le due principali organizzazioni diventate celebri per i rapimenti di missionari nell’hinterland della capitale, anche se dietro si nasconderebbero interessi inconfessabili.
Questo almeno ha denunciato la giurista pro diritti umani Altagracia Jean Joseph: «Dietro il business dei rapimenti ci sono i veri potenti di Haiti, ovvero funzionari pubblici e uomini d’affari, perché il criminale che non ha nemmeno di che sfamarsi e commette questi delitti per un sacco di riso, non riceve i soldi dei riscatti».
L’unica certezza è che la situazione nella capitale Port-au-Prince «è insostenibile e per questo abbiamo dovuto lasciare lo scorso novembre Croix des Bouquets, il nostro quartiere capitolino, per trasferirci nella vicina Repubblica dominicana» spiega a Popoli e Missione la 36enne missionaria laica Valentina Cardia.
Insieme al marito haitiano Segui Jean, gestiva una casa famiglia dell’Associazione Papa Giovanni XXIII proprio in quel quartiere dove Valentina, originaria di Busto Arsizio, offriva assistenza – acqua, cibo e formazione – ad una trentina di nuclei famigliari poveri e con molti bambini.
Adesso sono rimasti solo volontari locali perché, anche per l’ultimo italiano rimasto sino a Pasqua di quest’anno, la situazione era troppo a rischio sequestro:
«Anche a Croix de Bouquets dominano infatti le gang, che uccidono e rapiscono, soprattutto gli stranieri o gli haitiani che hanno all’estero parenti in grado di pagare il riscatto con le rimesse. Io stessa prima di lasciare con la morte nel cuore Haiti, per motivi di sicurezza uscivo il meno possibile dalla casa famiglia a causa della banda armata entrata di recente in quel quartiere, che fino al 2020 era più tranquillo.
Oggi, invece, non passa giorno che anche nelle zone più “pacifiche” della capitale come Croix des Bouquets non ci sia un sequestro, un omicidio o uno scontro a fuoco tra gang».
Emergenze irrisolte
Oggi purtroppo Haiti non è solo uno Stato fallito ma è anche il Paese più denutrito al mondo. Più della metà della popolazione (56%) soffre infatti di grave deperimento organico causato da insufficiente apporto calorico giornaliero e più della metà dei bambini sotto i cinque anni è malnutrita.
Oltre alla Papa Giovanni XXIII, in prima linea per portare aiuto a chi soffre ad Haiti da 30 anni c’è la Fondazione Francesca Rava, grazie all’attività di padre Rick Frechette, che con un team di 1.600 persone, tutti ragazzi haitiani, molti dei quali cresciuti nell’orfanotrofio Nuestros Pequeños Hermanos, ogni giorno lotta contro la morte, la miseria, la fame e le malattie.
La filosofia dell’azione di padre Rick e di tutti i suoi progetti, non è fare elemosina, ma dare gli strumenti per spezzare il circolo della povertà, creando forme di auto sostenibilità e offrendo un modello alternativo a morte, distruzione e violenza per migliaia di bambini e ragazzi di strada.
Molto attiva anche la Fondazione L’Albero della Vita che recentemente ha sostenuto con un finanziamento l’opera dei Camilliani ad Haiti, in particolare l’ospedale Saint Camille per far fronte all’emergenza del terremoto del 14 agosto 2021.
Poi c’è la Ong AVSI, presente sull’isola dal 1999 con progetti di sicurezza alimentare, sviluppo rurale, acqua, ambiente e sostegno a distanza.
Fiammetta Cappellini, responsabile progetti AVSI ad Haiti, spiega a Popoli e Missione la situazione sull’isola:
«In questo momento non ci sono le risorse per soddisfare i bisogni di prima necessità. Ne servirebbero almeno dieci volte di più solo per sostenere i bambini rimasti orfani e che soffrono la fame».