Vivono in alcune regioni della Repubblica Democratica del Congo, ma anche della Repubblica Centrafricana e dell’Uganda. I pigmei vengono chiamati “i difensori delle foreste”, ma in questi anni le foreste sono sotto attacco e anche loro rischiano la vita.
Sono una minoranza, considerata “primitiva” da alcune popolazioni limitrofe, storicamente tenuta in schiavitù e a volte disprezzata fino ad essere definita “non umana”.
Vengono chiamati Pigmei ma si autodefiniscono “popolo della foresta”, ad indicare la stretta relazione tra la loro identità e il luogo dove vivono da millenni. E probabilmente sono la popolazione più antica delle foreste equatoriali e tropicali africane.
Sui monumenti egiziani del secondo millennio a.C. compaiono notizie scritte nelle quali i Pigmei sono chiamati “Danzatori degli dei” per la loro grande abilità in quest’arte.
Pigmeo deriva dalla parola greca pygmâios, che significa “alto un cubito”, cioè piccolo: gli uomini, infatti, sono alti in media 140 centimetri e le donne 130. La loro è un’etnia a sé, dal colore della pelle marrone chiaro.
L’autorità che presiede alla vita del villaggio non è il capo con poteri decisionali e giudiziari, ma l’assemblea di tutti i membri della comunità, donne e uomini, adulti e bambini. Il capo villaggio è soltanto un uomo che si distingue per saggezza di vita, che gode di stima presso tutti ed è loro di esempio.
A descrivere così i Pigmei è padre Antonio Mazzuccato, fidei donum della diocesi di Bolzano-Bressanone, nato nel 1938, che ha vissuto per oltre 25 anni con i Pigmei dell’Ituri nel Nord Kivu, in Repubblica Democratica del Congo.
Insieme al fratello gemello, Benito, insegnante in pensione che lo ha affiancato in questa missione, padre Mazzuccato ha dato vita al Progetto Pigmei-Etabe (P.P.E.) nella diocesi di Butembo-Beni, con l’obiettivo di aiutare “il popolo della foresta” a sottrarsi allo sfruttamento e al dominio delle altre popolazioni che vivono nelle stesse zone.
Storicamente, infatti, insieme ai Pigmei in quest’area abitano i Bantu, giunti nella zona verso l’anno 1.000 d.C. e qui stabilitisi, perché accolti dalla popolazione pigmea.
All’inizio si instaurò tra loro un rapporto di scambio e baratto. Poi, con il passare del tempo, questa relazione di parità si deteriorò a svantaggio dei Pigmei, perché i Bantu, approfittando della loro superiorità tecnologica (arte metallurgica, tecniche agricole), li assoggettarono e ridussero in schiavitù.
Soltanto in questi ultimi decenni, grazie all’intervento dei missionari, a poco a poco i Pigmei hanno ricominciato a godere dei loro diritti umani, pur tra gravi violazioni purtroppo ancora attuali.
La presenza dei missionari
Padre Mazzuccato non ha mai smesso di denunciare la pesante situazione nella quale sono costretti a vivere i Pigmei dell’Ituri.
Con il passare degli anni, infatti, sono stati venduti i terreni su cui questo popolo viveva da sempre, ignorandone la presenza: ettari di foresta ceduti a vari commercianti di Butembo, prestanomi di multinazionali americane, asiatiche ed europee affamate di preziose materie prime di cui la foresta sovrabbonda.
Ma, contemporaneamente, il “popolo della foresta” è stato preso di mira anche dalle popolazioni non pigmee della zona, come i Babila (etnia appartenente al gruppo Bantu) che non nascondono di considerare i Pigmei come essere inferiori, assoggettabili, senza riconoscere loro nessun diritto né sulla terra, né sulla foresta.
Per sostenere le popolazioni pigmee del Congo c’è anche un progetto dei missionari comboniani che padre Pierre Levati, togolese, descrive così all’Agenzia di stampa Fides:
«Questo progetto è un trampolino di lancio affinché i Pigmei inizino ad essere soggetti attivi della società in cui vivono. Ad oggi abbiamo costruito un collegio dove gli studenti possono rimanere per periodi prolungati.
Stiamo organizzando anche una serie di incontri di formazione della durata di un anno sulle tecniche dell’agricoltura e dell’allevamento».
La popolazione pigmea in questione è quella che abita la zona di Mungbere, nel Nord-Est del Paese, e lo scopo del progetto è combattere i pregiudizi nei confronti di questo popolo, costretto a vivere emarginato ai confini della foresta.
Soltanto negli ultimi 20 anni è iniziato un programma di scolarizzazione, sanitario e di sviluppo che coinvolge direttamente i Pigmei: «La percentuale di iscrizione dei bambini e degli adolescenti nelle scuole è ancora molto bassa: il tasso di analfabetismo è superiore al 97%».
(Questo articolo in versione estesa è stato pubblicato da Popoli e Missione di ottobre).