«Non avere avuto il coraggio di inserire la diaspora africana nella Cabina di regia per il Piano Mattei è triste».
Il patrimonio di conoscenze posseduto dai rappresentanti della diaspora è «unico» e riguarda la «sensibilità di intercettare i bisogni reali» delle persone in Africa.
A dirlo è Mani Ndongbou Bertrand Honoré, Presidente del Coordinamento italiano delle diaspore per la Cooperazione internazionale, intervenuto ieri al webinar sul Piano Mattei, organizzato dal CeSpi e moderato da Daniele Frigeri.
«Se vuoi davvero fare qualcosa per qualcuno, devi farlo assieme a lui, in un rapporto paritario», e non in assenza di controparti locali.
Il rischio certo, dice ancora Honorè, è che gli interventi proposti tramite il Piano «non corrispondano ai reali bisogni della gente.
Alcuni progetti pilota sono stati già parzialmente svelati e finora si sono dimostrati carenti, come dimostrano il progetto per le coltivazioni di olio di ricino in Kenya, e il CAAM in Mozambico, riattivazione di un precedente progetto di Cooperazione mai realmente partito.
«Quando inizialmente abbiamo sentito parlare di Piano Mattei per l’Africa siamo saltati sulla sedia perchè da anni non si trovava una politica italiana verso l’Africa – ha spiegato – Poi però siamo stati anche delusi e rammaricati».
Secondo il Presidente del Coordinamento delle diaspore, il Piano non prende in considerazione «la dicotomia che esiste tra governi locali e comunità locali», per cui appare un approccio top-down (dall’alto verso il basso).
Al webinar del Cespi ha preso parte anche Giuseppe Morabito, già Direttore Generale Africa del Ministero Affari Esteri ed ex ambasciatore a Beirut e a Lisbona.
L’obiezione all’approccio governativo da parte degli osservatori più critici del Piano, è che guarda ai governi africani come controparte privilegiata, ma non alla galassia delle comunità africane.
Bisognerebbe invece «partire dai bisogni espressi dalle comunità locali», ha precisato anche Guglielmo Micucci di Amref, prospettando l’idea che nella Cabina di regia possano essere inseriti rappresentanti della società civile africana.
«Le comunità africane possono e devono avere un determinante, serve una ownership della società civile», ha detto.
La Cooperazione non governativa, argomenta Micucci, ha fatto tanto in questi anni e diversi «progetti pilota (del Piano ndr.) sono infatti il proseguimento di cose che già esistevano», ma poi va trovato un approccio nuovo che capovolga la prospettiva dell’aiuto dall’alto.
«Non è più il tempo dell’andare in un Paese africano e fare una cosa fatta bene ma calata dall’alto», dice.
Durante il webinar Enrico Petrocelli, Responsabile Relazioni Istituzionali Internazionali di Cassa Depositi e Prestiti ha parlato di un ulteriore impiego di risorse, già al vaglio del governo, e di un «approccio dialogico con le istituzioni africane e con la Banca Africana di Sviluppo».
Si è parlato di confronto sia bilaterale che multilaterale, ma secondo Micucci e Honorè manca un pilastro fondamentale: la presenza della controparte africana nella sua dimensione locale e di comunità.