Padre Claudio Monge: “amo la Turchia e confermo la mia scelta missionaria”

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«Continuo a credere, malgrado tutto, che se ho credibilità come missionario lo devo alla mia scelta.

Questa credibilità la costruisco nel quotidiano vivendo ad Istanbul giorno per giorno, nonostante la frustrazione di sentirmi parte di un Paese da tempo in caduta libera».

Una Turchia che dal 2016 vive in una specie di recessione politica e culturale, nonchè economica.

Ce ne ha parlato, a margine del Convegno Missionario Giovanile, padre Claudio Monge, missionario domenicano da 20 anni ad Istanbul, impegnato soprattutto nel dialogo interreligioso.

Monge spiega: «io appartengo ad un ordine secolare domenicano che ha come caratteristica storica quella dell’itineranza e alle volte ho paura di diventare un professionista dell’itineranza.

Ma il mio punto fermo è rimanere in un Paese definito crocevia del mondo, dalle tante contraddizioni e di amarlo».

Nonostante la crisi di democrazia e di libertà che lo attanaglia.

«C‘è uno spreco di potenzialità enorme e molta frustrazione nella Turchia di Erdogan – prosegue –  almeno a partire dal 2016. Lo definirei un saccheggio di potenzialità che mi fa male.

Ciò non significa che io non mi senta a tutti gli effetti un missionario al quale è stato fatto un dono».

Dall’anno del mancato Colpo di Stato (il 2016) da parte delle forze armate e della repressione sociale a Gezi Park, «la gente fugge dalla Turchia, almeno chi può lo fa. Questo processo ha depauperato l’elite intellettuale del Paese». E lo ha impoverito, togliendo energia e forza vitale alle giovani generazioni. E’ dunque ancora più importante esserci, adesso, argomenta il missionario, per sostenere quella parte di popolazione che merita di essere ascoltata.

Il dialogo interreligioso per il quale padre Claudio si spende ogni giorno è per lui qualcosa di più di un confronto tra fedi, è una comprensione profonda «di ciò che fa vibrare l’altro».

«Non ho bisogno di aderire a tutto quello che tu dici (come esponente dell’islam o di altro credo ndr.) – argomenta Monge – però ti rispetto profondamente per ciò che ti fa accendere».

Non si tratta di un nuovo new age – precisa – ma di andare oltre il preconcetto: «di uscire definitivamente dalla postura che vuole stabilire cosa è vero e cosa è falso.

«La verità non la possediamo ma ci è donata nella misura in cui ci apriamo».