«Parlate, parlate, parlate di quello che succede a casa vostra! Raccontatelo agli italiani: purtroppo in questo momento in Italia la dimensione del nazionalismo e del pernicioso provincialismo ci porta a dimenticare che la nostra nazione è inserita in un mondo villaggio globale e che abbiamo un destino comune. Siamo tutti sulla stessa barca!».
Così padre Giulio Albanese, direttore di Missio Roma e missionario comboniano, si è rivolto ai presbiteri stranieri in Italia che stamani hanno affollato in 200 l’aula magna del Collegio Urbaniano a Roma, per partecipare al primo raduno dei sacerdoti non-italiani nel Lazio.
«I presbiteri stranieri, anche i religiosi, sono un dono della fede delle Chiese sparse nel mondo, e testimonianza del fatto che la missione oggi è sempre più intesa come reciprocità – ha detto – come cooperazione tra Chiese, per cui ogni Chiesa particolare è una comunità che invia e che riceve allo stesso tempo».
Per Giulio Albanese quella attuale è una «nuova epoca della missione», feconda e ricca di opportunità da cogliere.
Il Convegno è stato aperto e moderato da don Federico Tartaglia, direttore di Missio Porto – Santa Rufina, ed hanno partecipato monsignor Vincenzo Viva, presidente della Commissione di Missio Lazio, monsignor Emilio Nappa, Segretario aggiunto del Dicastero per l’Evangelizzazione dei popoli, con incarico di presidente delle Pontificie Opere Missionarie. E Padre Denis Malonda, direttore di Missio Tivoli.
Siamo alle soglie di una «nuova epoca della missione», che non è più solo unidirezionale, ma multidimensionale, ha argomentato padre Albanese.
«Molti dei sacerdoti stranieri presenti nel Lazio provengono da Paesi del Sud e hanno alle spalle comunità e famiglie duramente provate. Essi sono portatori di civiltà straordinarie, saperi ancestrali ed esperienze ecclesiali degni di nota».
Sul totale delle 227 diocesi presenti su territorio italiano, di cui 28 unite “in persona episcopi”, «in ben 190 diocesi ci sono sacerdoti stranieri – ha spiegato Albanese – Grazie anche a loro, la missione conosce oggi un movimento pluridirezionale e questo binomio comunione-missione fa comprendere che ormai da tempo si è entrati in una nuova epoca della missione.
In un ambiente ecclesiale nel quale incombono difficoltà e interrogativi, la strada dello scambio dei doni e dei carismi, ricca di prospettive nuove, appare quella più idonea per la missione di una Chiesa che, in un mondo globalizzato, accetta le sfide che da esso provengono».
Secondo padre Albanese sono quattro gli elementi di condivisione che devono alimentare lo scambio dei saperi in chiave missionaria:
L’informazione è il primo: «cioè – ha spiegato – la narrazione da parte dei presbiteri stranieri legata alla conoscenza del presente dei loro rispettivi Paesi».
In secondo luogo la «formazione interculturale delle nostre comunità per renderle aperte all’alterità e contrastare in tal modo le spinte sovraniste molto radicate in Europa e dunque anche nel Lazio».
Poi la condivisione «del proprio cammino di fede a livello spirituale e come esso è maturato nella propria Chiesa d’origine» e infine «la condivisione delle esperienze e dei cammini pastorali nelle rispettive comunità d’origine».
Il missionario ha ricordato che è stato «Papa Pio XII, nel 1957, con la pubblicazione dell’Enciclica Fidei Donum ad inaugurare una nuova fase nella storia missionaria della Chiesa, liberando la missio ad gentes dal regime di delega agli ordini religiosi, congregazioni e istituti missionari.
Chiedendo ai sacerdoti diocesani di partecipare direttamente all’attività evangelizzatrice, chiamati appunto da quel momento in poi sacerdoti fidei donum».
Ed oggi è quanto mai necessario fare un ulteriore passo in avanti: «Oggi sarebbe auspicabile lavorare sulla definizione di linee guida per rispondere alle istanze dei sacerdoti stranieri qui a Roma e nel resto del Lazio e in forma estensiva d’Europa.
Questo con l’intento di consentire a loro finalmente d’essere “ponte”».
(LA FOTO IN PAERTURA E’ DI CRISTIAN GENNARI)