Nei giorni scorsi, dopo settimane di guerra strisciante e dopo anni di presenza militare nel Nord Kivu, la milizia M23 ha definitivamente preso la città di Goma, tre milioni di abitanti nell’Est della Repubblica Democratica del Congo.
A Goma lavora Marco Rigoldi, volontario vicentino dell’associazione Casagoma (www.casagoma.org), che gestisce un centro di accoglienza diurno per bambini in difficoltà di famiglie molto povere, grazie alle adozioni a distanza che arrivano dall’Italia.
Abbiamo parlato di Casa Goma nel numero di febbraio di Popoli e Missione.
Attraverso l’aiuto per la scuola, le medicine e il cibo Marco e sua moglie Arielle danno futuro a centinaia di bambini.
Paolo Annechini, giornalista del CUM ha contattato al telefono Marco nei giorni scorsi, durante l’occupazione di Goma da parte dei ‘ribelli’ e questo è il suo racconto sul Nord Kivu.
Al momento Marco e sua moglie sono rifugiati in Ruanda.
«I giornali parlano solo di centinaia di morti, ma non è vero: i morti in questo ultimo assalto sono molti, molti di più, sono migliaia, da entrambe le parti. Al momento la nostra attività nel centro Casa Goma l’abbiamo sospesa.
Era troppo pericoloso: Il nostro giardino si riempiva di proiettili vaganti, avevamo paura che i nostri ragazzi, una volta tornati a casa il pomeriggio, non trovassero più le loro famiglie.
Anche il tragitto casa scuola era diventato per loro molto, molto pericoloso.
Quindi abbiamo sospeso le attività.
Anche noi abbiamo lasciato Goma: mia moglie Arielle è incinta di otto mesi, e domenica 26 gennaio abbiamo deciso di rifugiarci a casa di amici a Gisenyi, appena passata la frontiera con il Rwanda.
Pensavamo di essere al sicuro, ma i bombardamenti sono iniziati anche lì.
Siamo rimasti seduti per terra tutta la giornata di lunedì con un materasso sulla testa.
Alcune pallottole sono entrate anche in casa.
Pregavamo e aspettavamo di morire! Due bombe sono cadute anche a una decina di metri dalla casa dov’eravamo, provocando una terribile onda d’urto che ha rotto tutto.
Da quattro giorni siamo a Kigali, prima ospiti in una struttura della diocesi, ora in un appartamento. Abbiamo tante persone che ci aiutano anche in vista della nascita del nostro primo figlio, ma la situazione non è certo delle migliori.
Pensiamo a tutti i nostri ragazzi di Goma.
Molti con le loro famiglie sono scappati, ma molti sono ancora là. Qui tutti siamo traumatizzati, non riusciamo a dormire, abbiamo visto la morte molte volte, eravamo pronti a morire, aspettavamo solo il momento.
Il Signore ci ha dato la forza di metterci in piedi e partire: è stato un rischio enorme partire sotto le bombe, tra i fischi dei proiettili».