Quando papa Francesco, di questi tempi, parla delle periferie del mondo, come missionari, non possiamo fare a meno di rivolgere il nostro pensiero alla Repubblica Democratica del Congo (Rdc). Infatti, ciò che sta accadendo in questi giorni in questo Paese africano è oltre la soglia di ogni umana sopportazione.
Il 2 agosto scorso, l’Oms ha confermato l’ennesima epidemia di Ebola nella zona di Beni (Nord Kivu), precisando che si tratta del ceppo del virus denominato «Zaire». Lo stesso di un altro focolaio, che aveva interessato, dallo scorso aprile, il nordovest del Paese nella provincia dell’Equateur, provocando 33 morti su 54 casi. Due settimane fa l’Oms aveva annunciato che Ebola era stata debellata nel versante nordoccidentale dell’Rdc, grazie ad un vaccino sperimentale che ora dovrebbe essere somministrato a tutti coloro che sono entrati in contatto con i malati, anche indirettamente a Beni e dintorni. Ma questa volta sarà estremamente impegnativo intervenire per le organizzazioni umanitarie perché il Nord Kivu è teatro da anni di un sanguinoso conflitto armato tra esercito governativo, gruppi ribelli locali e milizie fuoriuscite dal vicino Rwanda e dall’Uganda. Come se non bastasse, il prossimo 23 dicembre dovrebbero tenersi nuove elezioni presidenziali, quelle previste nel 2016 e poi rinviate per l’ostracismo del capo di Stato uscente, Joseph Kabila. Questo in sostanza significa che nei mesi venturi si acuiranno le tensioni tra le forze politiche in campo, col risultato che potrebbero verificarsi gravi disordini ed una situazione di anarchia in molte zone del Paese. Se ciò dovesse verificarsi, le ondate di profughi verso le frontiere con i Paesi limitrofi renderanno difficili se non addirittura impossibili le operazioni di soccorso. E dire che la popolazione del Nord Kivu potrebbe essere più benestante di quella del Canton Ticino se potesse gestire le immense risorse minerarie del proprio sottosuolo (es.: manganite, cassiterite, coltan…). Il controllo delle terre e il sistematico sfruttamento delle risorse naturali da parte di potentati stranieri, oltre ai continui approvvigionamenti di armi e munizioni, sono tutti fattori che consentono a miliziani, trafficanti e mercenari di perseguire una massiccia e devastante epurazione del bene comune mai condiviso.
Non sappiamo se nel Nord Kivu, considerando la precarietà delle strutture sanitarie locali, si riuscirà a vaccinare la popolazione congolese come già avvenuto nei mesi scorsi nella provincia dell’Equateur. Ma una cosa è certa: il vaccino, almeno sulla carta, c’è, la pace è ancora un miraggio.
La direzione della fondazione MISSIO esprime la propria solidarietà al popolo congolese, all’episcopato locale, ai missionari/e e volontari che operano nel Paese africano, assicurando la solidarietà e le preghiere della Chiesa italiana e in essa delle comunità parrocchiali.