«A fronte di una riconoscibile “fatica missionaria”, alimentata da una molteplicità di cause, è necessario riproporci le “ragioni appassionanti” della missione, consapevoli dello sviluppo del magistero, della riflessione teologica e della loro ineludibile dimensione storica». Queste parole, così cariche di passione e ricche di significati, costituiscono uno dei passaggi centrali della riflessione che monsignor Francesco Beschi, presidente della Commissione episcopale per l’evangelizzazione dei popoli e la cooperazione tra le Chiese e presidente della Fondazione Missio, ha condiviso con i suoi confratelli nell’episcopato, durante la 73esima Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana (Cei), lo scorso 21 maggio a Roma.
Il tema scelto per l’assise dei vescovi italiani – “Modalità e strumenti per una nuova presenza missionaria” – non può lasciarci indifferenti. Forse mai come oggi, riflettendo sulle sfide di una società globalizzata, segnata da continue e repentine trasformazioni, occorre volare alto – come, peraltro, ha sottolineato monsignor Beschi – coltivando «l’immaginazione di una nuova “forma” di presenza missionaria» che «si alimenta certamente alla consapevolezza della gioia del Vangelo». A questo proposito, pur non ignorando che per alcuni le affermazioni “tutto è missione” e “dovunque è missione” rivelano confusione, stanchezza e mancanza di motivazioni per la missione ad gentes, non possiamo stare alla finestra a guardare. Occorre più che mai riaffermare, con il cuore e con la mente, un impegno che trova il suo radicamento nella consacrazione battesimale.
«I cristiani sono annunciatori e testimoni della gioia del Vangelo – ha rilevato pertinentemente il presidente di Missio – nella misura in cui loro stessi l’hanno accolta e sperimentata. Questa condizione non può essere sostituita da altre e tanto meno surrogata da qualche rappresentazione puramente esteriore: solo nella misura in cui il Vangelo diventa la ragione inesauribile della gioia del cristiano, la missione assumerà i connotati dell’attrazione e della generatività, superando ogni assimilazione a forme di propaganda o indottrinamento ed ogni pessimismo paralizzante».
Questo, in sostanza, significa che se le nostre comunità cristiane non torneranno ad essere davvero in ascolto della Parola, fonte di Vita, non saranno in grado d’interpretare i “segni dei tempi” e dunque capaci di agire, conseguentemente, rispetto alle istanze poste dal dettato evangelico.
I rigurgiti di sovranismo o nazionalismo che dir si voglia, quelle spinte, cioè, respingenti e pressanti che contaminano le società europee, rendendole incapaci d’interpretare, ad esempio, il fenomeno della mobilità umana, sono sintomatiche di un deficit di consapevolezza rispetto agli insegnamenti di Nostro Signore. Non ci si può dire credenti se non si afferma con chiarezza un’apertura del cuore a 360 gradi, dilatato fino agli estremi confini. A questo proposito, il carisma delle Pontificie Opere Missionarie (Pom) – rappresentate in Italia dalla Fondazione Missio, nostro editore di riferimento – rappresenta una risposta concreta contro le crescenti chiusure di fronte ad ogni genere di alterità. Si tratta di quello spirito cristiano universale, dunque cattolico, che costituisce l’antidoto contro quella che papa Francesco ha giustamente stigmatizzato come «globalizzazione dell’indifferenza».
E’ emblematico quello che leggiamo nell’Evangelii Gaudium: «La comunità evangelizzatrice sperimenta che il Signore ha preso l’iniziativa, l’ha preceduta nell’amore, e per questo essa sa fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi. Vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia, frutto dell’aver sperimentato l’infinita misericordia del Padre e la sua forza diffusiva». Sta di fatto che la crisi delle vocazioni missionarie è sintomatica di un malessere che va seriamente diagnosticato. Negli anni Novanta, i missionari/e italiani erano circa 24mila tra preti fidei donum, religiosi/religiose, membri di società di vita apostolica, laici e laiche. Oggi sono settemila, e molti, anagraficamente parlando, avanti negli anni. L’età media dei membri delle congregazioni religiose, storicamente impegnate nel servizio di evangelizzazione nel mondo, si attesta circa sui 68 anni. I preti fidei donum, prima dell’anno 2000, erano 713, oggi sono 403. Da rilevare, comunque, che sempre più famiglie e singoli laici/laiche – sono circa tremila – decidono di dedicare mesi o anni alle Chiese sorelle nei cinque continenti. Se da una parte essi rappresentano il valore aggiunto delle nostre comunità disseminate lungo lo Stivale, dall’altra è evidente che se di crisi stiamo parlando, dobbiamo riconoscere che essa rappresenta un punto di discontinuità, un passaggio che segna una differenza marcata tra un prima e un dopo.
Il cambiamento della domanda vocazionale nella società italiana è emblematico di come occorra rinnovare in profondità le modalità dell’animazione missionaria e in generale della cosiddetta pastorale ordinaria. In passato, una pastorale di “conservazione” o di “mantenimento”, nella cornice di una Civitas Christiana, rendeva, per certi versi, le cose più semplici, non foss’altro perché nessuno aveva l’ardire nel nostro Paese di esprimere giudizi temerari nei confronti del papa e della Chiesa. Ma oggi quella Civitas rimane impressa, in molti casi, nella memoria degli anziani o sui muri delle cattedrali, ma non certo nei comportamenti della gente. Ecco perché le mutate condizioni storiche esigono una attualizzazione ed una concretizzazione di quanto affermato nel Decreto Ad Gentes del Concilio Vaticano: «La Chiesa che vive nel tempo è per sua natura missionaria, in quanto è dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo che essa, secondo il disegno del Padre, trae la sua origine». Questa è la ragione per cui monsignor Beschi ha concluso il suo intervento ricordando ai vescovi italiani: «In questi decenni abbiamo percorso strade impegnative e sofferte, ma non abbiamo rinunciato alla missione: se al Convegno nazionale missionario di Bellaria avevamo aperto il “libro della missione” e con quello di Montesilvano abbiamo alimentato il “fuoco della missione”, a partire da Sacrofano e dal Mese missionario straordinario vogliamo percorrere la “Via della missione”, quella “Via” che il Crocifisso risorto apre davanti a voi, precedendoci sempre in ogni Galilea geografica, storica, esistenziale: quella Via che è Lui stesso: “Io sono la Via”. Noi siamo quelli della “Via”!».
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