Due amici cresciuti sulla stessa terra, che la storia e le ragioni (politiche) vorrebbero divisi.
Se poi aggiungiamo che si tratta della Terra Santa e che i due giovani uomini appartengono ai due popoli che abitano, lo sfondo del film- documentario “No other land” è già tratteggiato.
Realizzata da un collettivo di quattro registi – Basel Adra e Yuval Abraham, più il palestinese Hamdam Ballal, amico di Basel, e Rachel Szor, regista israeliana con base a Gerusalemme – l’opera è un inno al valore primario della relazione tra le persone, al di là di qualunque schieramento politico, ideologico o religioso.
Apprezzata dalla critica internazionale per il coraggioso enunciato di pace che ha saputo rilanciare anche nei mesi più bui del conflitto israelo-palestinese, No other land ha vinto l’Oscar come miglior documentario.
E’ un’opera costruita attraverso interviste e testimonianze, offrendo una visione intima e personale dei conflitti e delle sfide che caratterizzano la regione, cercando di dare voce a diverse prospettive, con uno stile che mescola elementi di reportage e narrazione personale.
Un giovane attivista nato e cresciuto in Cisgiordania, Basel Adra, documenta la distruzione di Masafer Yatta, un piccolo insediamento rurale, sotto i colpi delle truppe israeliane.
«Ho cominciato questo film quando ho cominciato a morire» dice in apertura il protagonista del documentario premiato alla Berlinale del 2024.
E oltre lo struggente sentimento della perdita, emergono i frammenti della quotidiana resilienza della gente della comunità.
«Gli israeliani hanno chiuso le nostre scuole, ci hanno tolto l’acqua e questo per mandarci via dalle nostre case e costruire insediamenti illegali e avamposti che violano ogni diritto internazionale» ha detto il regista e giornalista Basel Adra, classe 1996, ritirando a Lucerna lo scorso dicembre il premio per il miglior documentario agli European Film Awards.
Accanto alla sua voce c’è quella dell’amico Yuval Abraham, giornalista israeliano nato a Gerusalemme nel 1995 che, dopo aver studiato l’arabo, ha compreso molte realtà di quella cultura e vede con “gli occhi dell’altro” gli effetti della violenza predatoria sul territorio altri.
La memoria delle prevaricazioni è nel Dna del villaggio Masafer Yatta, che se non fosse per la resilienza dei suoi abitanti sarebbe già sparito per dare spazio a una base militare israeliana.
Basel ricorda le manifestazioni sul diritto alla terra di quando era piccolo, e da uomo si trova di fronte allo spettacolo di una distruzione annunciata.
E se le case diventano inabitabili, anziani e bambini si traferiscono nelle grotte, mentre gli uomini di notte lavorano per ricostruire.
Perché quella è la terra dei padri, e- come recita il titolo – non c’è altra terra per vivere e tramandare ai figli il senso dell’esistenza.
Yuval da parte sua, comprende queste ragioni, ma si illude che documentare la realtà possa bastare a cambiare lo stato delle cose che da decenni sono incagliate nel conflitto tra due popoli e due mondi costretti ad una quasi impossibile coabitazione.
Film da vedere perché racconta come l’amicizia e la solidarietà riescano a dare speranza a quelli che sembrano i perdenti della storia.
Il senso di quest’opera è nelle parole di Yuval sul palco della Berlinale insieme a Basel per condividere il premio: «Siamo di fronte a voi, io e Basel, e abbiamo la stessa età. Io sono israeliano, Basel è palestinese.
E tra due giorni torneremo in una terra dove non siamo considerati uguali.
A differenza di Basel io non vivo sotto una legge militare.
Viviamo a 30 minuti di distanza, ma io ho diritto di voto, Basel no.
Sono libero di muovermi dove voglio in questa terra, mentre Basel, come milioni di palestinesi, è bloccato nella Cisgiordania occupata.
Questa situazione di apartheid, questa ingiustizia deve finire».