Niger, padre Armanino: “terrorismo e fragilità alimentare, il nostro virus”

Facebooktwitterlinkedinmail

«Si è passati dalla colonizzazione alla “coronizzazione dell’Africa».  L’Occidente continua a proiettare le proprie paure e il proprio immaginario sul resto del mondo, nello specifico sull’Africa tormentata da molti mali.

«Quella del Covid-19 non è la nostra prima preoccupazione; perciò io parlo di ‘coronizzazione’». A dirlo è padre Mauro Armanino, della SMA, Società Missioni Africane, da nove anni in Niger.

Il missionario ci spiega un meccanismo oramai collaudato di “colonizzazione culturale”.

«Senza voler negare l’esistenza di una epidemia – dice – ci si immagina una realtà smisurata che qui non esiste».

Esiste però un Paese insicuro, vulnerabile, dai confini labili, dove trionfa un terrorismo che mira a riempire il vuoto lasciato dalle istituzioni.

«Quello che io vedo, da qui, dal deserto del Niger, è una totale mancanza di prospettiva e di proporzione da parte dell’Occidente. La gente qui soffre per una serie di cause strutturali, legate alla vulnerabilità alimentare, al terrorismo di matrice jihadista; al diffondersi di malattie che diventano mortali (la malaria ha fatto oltre 40mila morti)».

La manifestazione più evidente del disagio causato dal coronavirus, finora, spiega Armanino, è stata la chiusura delle scuole e delle chiese, con anche il parziale blocco dei commerci.

«Ma stiamo conducendo una vita tutto sommato normale- assicura – Il punto è che non si può isolare questa epidemia dal contesto: attacchi terroristici, furti di bestiame, contrabbando, Stato inesistente e corruzione».

Mentre parliamo, avviene l’ennesimo attacco contro tre villaggi della regione di Tillabéri, al confine con Mali e Benin, dove sono state uccise almeno 20 persone. Un dramma che si ripete costantemente, poichè manca uno Stato che protegga.

«Bisognerebbe decolonizzare il nostro immaginario rispetto all’Africa».

Il Niger è un colabrodo dal punto di vista della sicurezza e delle frontiere: «Tutto è stato sepolto in Niger: le grandi narrazioni del passato, si sono insabbiate», ripete il missionario, riferendosi anche ad una classe politica ed intellettuale che pure esisteva nel Paese, e che ora ha preso la via dell’estero.

«Se guardiamo all’attuale regime e alla gestione militare del Paese, non c’è speranza – afferma – ma io ritengo che la speranza venga dal basso: viene dalla sabbia, dalla debolezza. Io il cambiamento non me lo aspetto certo dalla politica ma dal popolo che vive in povertà».

Da nove anni padre Armanino vive per accompagnare questo popolo e anche quello migrante, che attraverso il Niger arriva in Libia e poi in Europa: «Sono anni di vicinanza con la gente- afferma – anni di cammino con loro».

A proposito della liberazione di Silvia Romano, padre Mauro si dice molto contento, ma avverte anche di non far calare l’attenzione su altri rapimenti: come quello del confratello padre Pierluigi Maccalli, sparito in Niger il 18 settembre 2018.

«Nessuno qui lo dimentica: quotidianamente lo si ricorda, con testimonianze e preghiere interconfessionali».