La situazione si fa di giorno in giorno più tesa e violenta in Nicaragua, dove la Chiesa cattolica e gli attivisti per i diritti umani denunciano l’imbarbarimento totale delle forze dell’ordine (militari e paramilitari) al soldo del presidente Ortega.
In Nicaragua si muore in strada: risale a sabato scorso l’uccisione di altre 40 persone (che si sommano alle 300 degli ultimi tre mesi).
Le forze di sicurezza governative e i paramilitari continuano a reprimere nel sangue ogni manifestazione di dissenso nel Paese.
Le proteste si sono fatte più massicce da quando il presidente Daniel Ortega ha pronunciato un discorso col quale sostanzialmente rigetta la richiesta di elezioni anticipate e accusa i manifestanti di tentato colpo di Stato.
Sia Amnesty International che Human Rights Watch hanno divulgato report attraverso i quali condannano senza appello l’azione di Ortega e dei funzionari di regime, che oltre ad uccidere i civili in strada hanno malmenato anche rappresentanti delle gerarchie ecclesiastiche pochi giorni fa.
«Ciò cui stiamo assistendo nelle ultime 24 ore è qualcosa che va ben oltre quello che abbiamo visto finora», ha detto Felix Maradiaga, un difensore dei diritti umani piuttosto noto in Nicaragua, appena rientrato in patria dopo essere stato a Miami per sfuggire alle forze di polizia di Ortega.
«Sono scioccato – ha dichiarato alla stampa – i sostenitori del regime di Ortega sono in strada senza alcun riguardo per la vita umana».
Un altro testimone, Jonathan Duarte, ha riferito che «i paramilitari stanno facendo le ronde in strada ed uccidono indiscriminatamente, terrorizzando la popolazione».
In risposta all’ondata di repressione violenta, venerdì scorso è stato indetto uno sciopero generale, con negozi chiusi ed attività sospese, che ha visto svuotarsi le vie principali della città di Managua.
Nel contempo, mentre i cittadini nicaraguensi rimanevano chiusi in casa, Ortega e il suo entourage sfilavano per le vie del centro in una marcia tradizionale che ricordava quella di Masaya, contro il dittatore Anastasio Somoza nel 1979.
La rabbia e la protesta pacifica contro questo governo sono scoppiate ad aprile scorso quando i tagli alla spesa sociale si sono fatti pesanti. Da allora è stato tutto un reprimere e uccidere. Tanto che la Chiesa è scesa in campo a difesa dei più deboli.
Il cardinal Leopoldo Brenes, monsignor Josè Silvio Baez e monsignor Weldemar Stanislaw Somertag, l’8 luglio scorso erano in visita pastorale proprio per portare solidarietà e vicinanza alle vittime, ma sono stati malmenati e privati del loro crocifisso.
Subito dopo l’arcidiocesi di Managua ha emanato un comunicato molto duro parlando di «atto codardo condannabile ed esecrabile».
Il cardinal Brenes ha scritto poi un post sui social dicendo: «mai abbiamo visto in Nicaragua una situazione così, ed è veramente triste».
«La nostra missione è quella di esser presenti a Gesù Cristo. Eravamo andati nelle parrocchie per consolare i nostri sacerdoti ed accompagnarli nel cammino di sofferenza, tuttavia abbiamo ricevuto questo trattamento », ha aggiunto il cardinale.
E’ difficile capire fin dove Ortega voglia spingersi e di quanto sostegno goda a livello interno ed internazionale.
Ma è oramai chiaro che l’insoddisfazione della gente dilaga ed è totale, riguarda diverse categorie sociali: le persone lamentano i tagli alle pensioni, ai sussidi, la mancanza di politiche sociali e il calo dell’assistenza sanitaria.
Un Paese oramai allo sbando che cerca di tenere a bada una protesta più che lecita, usando il pugno di ferro e il terrore.
Foto Afp, tratta da El Comercio