Mentre in Europa ci si industria a orientare, controllare, limitare, punire e organizzare le migrazioni qui, dall’altra parte del mondo chiamato creativamente Sahel, ci sono altre realtà con le quali fare i conti.
Ad esempio c’è Emanuel, liberiano di nascita, che soleva passare spesso a salutare e chiedere consigli e soprattutto aiuti.
Non si vedeva da tempo perché imprigionato per un anno per una storia inverosimile.
E’ stato rilasciato ieri, per grazia ricevuta, onde decongestionare il carcere civile di Niamey la cui popolazione è cresciuta in modo insostenibile in questi ultimi anni.
E’ sopravvissuto solo per via dei miracoli che si moltiplicano senza darlo a vedere da queste parti del mondo, poco strutturato per tali sventure.
Ha dovuto pagare il ‘re’ della cella per un posto letto di alcune decine di centimetri quadrati. Lavarsi era un’avventura occasionale quotidiana.
Mentre in Europa si compra il Natale spesso rinnegandolo nei fatti, ritorna alla ribalta dopo qualche mese Camara, originario della Costa d’Avorio.
Espulso dal Marocco, dall’Algeria e poi gettato nel deserto era sbarcato con l’intenzione di trovare se stesso tra i meandri della vita.
Si trovava tra coloro che erano stati ripescati nel mare dalla guardia costiera marocchina.
Aveva visto l’altra riva da lontano e da allora non l’aveva più dimenticata.
Dice che, una volta tornato al suo Paese, preparerà i documenti personali e di viaggio per partire regolarmente dall’altra parte.
Cerca qualcosa con cui coprirsi dal fresco delle notti passate nei pressi degli uffici dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni.
Dice che non mangia da un paio di giorni e che, per imbrogliare lo stomaco, beve acqua a non finire.
Attende un regalo per Natale.
Mentre in Europa ci si interroga su identità di genere e in generale il matrimonio è in cerca d’autore, passano a salutare Celestine e Boa.
Si sposeranno a fine mese in cattedrale a Niamey.
Lei togolese e lui liberiano, con un figlio adottato nell’attesa forse di altri che forse arriveranno, da migranti come tutti, su questa terra che diventa un esilio per troppe persone.
Si sono incontrati qui, entrambi stranieri in questo Paese che dopo essere stato per qualche giorno nei primi titoli dei notiziari è in fretta tornato alla sabbia da dove veniva.
Non sarà certo il loro matrimonio a cambiare le sorti del colpo di stato militare che tiene fino ad oggi imprigionato il presidente eletto, dubbiosamente, nel 2021.
Non ci sarà nessun viaggio di nozze vista la chiusura delle frontiere che persiste finora. Il riso degli sposi sarà messo da parte per la cucina.
Mentre in Europa si è smarrito il sentiero della vita e si è adottato l’effimero come unico orizzonte, arriva, trafelato, l’amico Khalifa, libico di origine.
E’ scappato dal suo Paese a causa della persecuzione religiosa dopo aver scelto di diventare cristiano. Incarcerato, battuto e minacciato di morte scappa in Algeria e da lì, espulso come di prammatica dai militari, arriva fortunosamente a Niamey e si presenta all’ufficio dell’Alto Commissariato per i Rifugiati.
Accolto dai funzionari riceve in cambio un foglio plastificato col nome, la data di arrivo , un numero di riconoscimento e poi più nulla.
Non si allontana dall’ufficio che centralizza i servizi e, stanco di non mangiare e dormire accetta di alloggiare nella casa degli amici del Togo.
Passa perché pure lui non mangia da alcuni giorni e teme il ritorno al Paese.
L’essenziale per lui è il cibo e una croce al collo.
Mentre in Europa si fanno le guerre per procura, si investono sempre più soldi nella fabbricazione, l’acquisto e la vendita di armi.
Nella tacita ipocrisia accettata e riprodotta da buona parte dei media compiacenti, ci si presenta al mondo come paladini del diritto e della pace.
Nessuno ci crede più perché le promesse di giustizia, equità, solidarietà e bene comune sono state da tempo abbandonate o buttate al macero.
Qui si sentono e soffrono le conseguenze delle armi, guerre e geopolitiche in subappalto.
Milioni di persone col diritto di vivere si trovano nella categoria degli sfollati, rifugiati, abbandonati, dimenticati e liquidati sull’altare di interessi politici, religiosi e soprattutto economici.
Il Dio, preso come ostaggio da una parte o dall’altra dei poteri, sta coi bambini della Sierra Leone che qui non hanno neppure una mangiatoia.