Monsignor Repole: “la Chiesa evangelizza, ma viene anche evangelizzata”

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 “Abbiamo creduto per troppo tempo che ci fossero dei Paesi cristiani che portavano il Vangelo ai paesi non cristiani. Abbiamo potuto illuderci che il Vangelo fosse solo per gli altri”.
Che ci fossero gli evangelizzatori tout-court e gli evangelizzati, mentre questa dinamica è assolutamente biunivoca.
Ne ha parlato monsignor Roberto Repole, arcivescovo di Torino, in dialogo con la biblista Rosanna Virgili.
“Ma si può mai pensare che l’evangelizzazione sia qualcosa di statico?”, si è chiesto il vescovo. O che ci sia una Chiesa dispensatrice di Vangelo che non sia a sua volta evangelizzata dai non cristiani?
Bisogna ammettere che “non tutta la missione ecclesiale negli anni è stata davvero nello stile e nella modalità di Cristo – ha ammesso Repole – nella fede esiste un unico figlio e quando i cristiani per difendere la loro identità pensano di non dover dialogare con altri hanno una identità molto debole“.
Per don Repole il paradigma del dono è la Chiesa, ma si “può pensare che l’evangelizzazione sia qualcosa di statico?”.
La conditio sine qua non per non perdere identità è l’unità: “la Chiesa spaccata è una contraddizione in termini”.
Difatti, la prima caratteristica “è il fatto che sia una: una Chiesa divisa è una ferita.
Ci fa bene riconoscere che la fraternità che è un dono rappresenti anche un compito faticoso”.
Per concludere: “è bello parlare di fraternità ma vivere assieme ad altri comporta una certa fatica. L’altro è proprio altro. Vede è giudica la realtà in modo diverso e stare insieme è una grande sfida”.