Missione Tacanà: storia di Neri che a 11 anni lavora nelle cave

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L’istruzione fa paura ai potenti. Questo è il motivo reale che non permette ai poveri di cambiare il loro stato. A coloro che detengono il potere, l’ignoranza della gente consente di sfruttare le persone e distruggere il Creato.

A Tacanà, in Guatemala, su cento bambini che iniziano ad andare a scuola, solo 38 terminano le elementari e 16 le scuole medie. Le cause di questi abbandoni scolastici sono la povertà, l’alcolismo, l’immigrazione, la malnutrizione e la presenza di pochi insegnanti sul territorio.

Per iscriversi a scuola, ogni bambino deve possedere una divisa che ha un costo esoso. Le classi, causa l’esiguo numero di insegnanti, sono formate dai 30 ai 40 bambini di differenti età ed i programmi scolastici sono diversificati.

La storia di Neri rappresenta la situazione in cui vivono i bambini del Guatemala.

Ero alla guida del mio fuoristrada e pioveva a dirotto, sul ciglio di un burrone mi accorgo che c’è un ragazzino. E’ molto magro, pallido, malvestito, grondante d’acqua. La pioggia scende in maniera torrenziale.

Mi fermo e gli chiedo se vuole un passaggio. Il bambino, infreddolito, mi sorride e sale sull’auto. Da oltre un’ora è sotto la pioggia con la speranza che qualcuno gli dia un passaggio, in quanto deve recarsi da suo fratello che lo aspettava alla cava di pietra. Neri ha solo 11 anni.

Dalle 5 del mattino alle 13 spacca le pietre, poi si reca a scuola camminando per mezz’ora sulla montagna, ritorna alla cava per riprendere il lavoro fino a sera e trascorre lì la notte per fare la guardia e ricominciare a spaccare pietre il giorno dopo. Mi mostra le mani: sono rosse, gonfie, piene di tagli.

Dorme nella cava su un giaciglio di sterpaglie, studia facendo i compiti con la luce di una candela, cena mangiando un uovo o un piatto di fagioli. Racconta la sua storia con tono pacato, senza piangere, senza nessun lamento, possiede una dignità da lasciarmi senza fiato. Ha le scarpe rotte, la manica della camicia lacerata, il pantalone bucato alle ginocchia.

Gli domando: «Dov’è la tua divisa?».  «Me l’ha comprata il maestro – risponde – e la lascio a lui per non sciuparla nella cava».

Abbassa lo sguardo e mi dice: «Sai, padre, sono bravo a scuola, il maestro mi aiuta tanto; io desidero diventare un dottore, voglio curare i bambini così anche loro potranno andare a scuola ed imparare. Poi diventeranno adulti istruiti e con me e altri come me potremo cambiare questa società, cacciare i potenti e questi non potranno più sfruttarci e rubare le nostre terre».

Neri mi guarda e sorride, questa volta anche con gli occhi, e mi dice: «Fermo, padre, sono arrivato, grazie per il passaggio. Mi ha fatto bene parlare con te. Ora spaccherò le pietre con più forza».

Ed io gli chiedo: «Perché?». «Perché so che con l’aiuto di Dio, e se continuerò a studiare, un giorno uscirò da quella cava!».

  • Don Angelo Esposito è fidei donum della diocesi di Napoli e vive a Tacanà