Il Papa ieri, Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, ha dichiarato di comprendere le paure della gente rispetto al fenomeno migratorio («le comunità locali a volte hanno paura che i nuovi arrivati disturbino l’ordine costituito»). Ma non «il rifiuto», come risposta definitiva e politica.
Le paure, ha detto, «sono fondate su dubbi pienamente comprensibili» ma «lasciare che determinino le nostre risposte è peccato».
L’Europa e l’Italia, nello specifico, stanno dando prova di come la politica manipoli il timore della gente, anziché ridimensionarlo.
Prendiamo ancora una volta il caso libico: assistiamo ad una gestione “impazzita” dei respingimenti, sia da parte delle cosiddette Guardie costiere che dei trafficanti libici riciclatisi in “controllori”.
Cosa succede grazie ai fondi della Cooperazione allo sviluppo dirottati (diverted aid) usati per finanziare i respingimenti?
E che cos’è l’African Eu Trust Fund?
Istituito nel 2015 al vertice euro-africano de La Valletta con l’obiettivo di “affrontare le cause profonde delle migrazioni”, il Trust Fund è stato riempito con 2,9 miliardi di euro di cui solo 214,7 milioni sono contributi aggiuntivi dei Paesi membri.
Tutto il resto (quasi 2,6 miliardi di euro) sono soldi destinati dall’Ue a programmi di Cooperazione internazionale e allo sviluppo.
E dunque dovrebbero essere usati per realizzare progetti di lotta alla povertà nei Paesi di transito (Niger, Etiopia, Sudan, Libia), non certo per dotare polizia e milizie libiche di equipaggiamenti per non far allontanare le persone da quelle coste.
Eppure in realtà è proprio quello che accade.
I nostri soldi sono usati solo in parte infinitesimale per combattere la povertà; per il resto servono a bloccare gli arrivi e rispedire indietro chi fugge dalle guerre.
Principalmente nei campi di detenzione ufficiali e in quelli illegali (che poi sono entrambi un inferno, come vedremo), sorti un po’ in tutta la Libia. Dove è noto che i diritti umani non esistono. In questi luoghi vige il caos più totale: è un far west del diritto e della legge.
In Libia non esiste un unico vero governo centrale, sebbene sulla carta sia quello di Al Serraj, che è il principale interlocutore dell’Italia (ma non il solo).
In questa brutta storia le testimonianze delle vittime sono così abbondanti che dire di non sapere è impossibile.
Centinaia di migliaia di migranti (come gli ivoriani ascoltati da SOS Mediterranee, la ong che continua a salvare i naufraghi) ce l’hanno fatta ad attraversare il mare e riferiscono ai soccorritori di aver subito sevizie e violenze di ogni genere in Libia.
Da quelle sessuali alle torture, dalle privazioni di acqua, cibo, cure, alla sottrazione di soldi. Fino alla morte.
«Sono stati riportati casi che vedono coinvolte le autorità libiche, inclusa la Guardia Costiera, in gravi abusi dei diritti umani dei migranti». Che subiscono percosse e spari, rifiuto di soccorso, attacchi alle navi di salvataggio, detenzione illegale, come si legge in un dossier di Concord Italia.
Ma come funziona il meccanismo per cui è stato possibile “distrarre” fondi europei per consegnarli direttamente ai trafficanti?
Il dossier «Partenariato o condizionalità dell’aiuto?» è siglato CINI, Concord, Focsiv.
Dice che trovandosi al di fuori del bilancio dell’Unione europea i soldi del fondo non devono «passare attraverso le stesse lunghe procedure seguite per selezionare e attuare i programmi ordinari».
Seguono insomma una corsia preferenziale e non è monitorato il loro impiego.
Per far presto e bloccare i flussi di gente che altrimenti sarebbe arrivata qui da noi, i leader europei hanno escogitato un sistema superveloce e molto opaco.
Attraverso questo Trust Fund, 162 milioni di euro sono stati destinati alla Libia, la maggior parte dei quali (136 milioni di euro) a partire dal gennaio 2017.
Questi soldi fanno gola a tutti in Libia. Quindi succede che ognuno voglia «una parte della torta». E i trafficanti si riciclano.
«Gli attori libici hanno sostituito parzialmente l’industria del contrabbando e della tratta con l’industria della detenzione, abusando dei migranti», si legge ancora.
Sono passati dall’essere trafficanti di uomini – traghettandoli in malo modo nei barconi verso l’Europa – al diventare gli sceriffi del mare che impediscono agli stessi di partire, ricacciandoli nelle prigioni libiche.
Inoltre «le reti della tratta hanno ridotto le operazioni in Libia, ma cercano di aprire nuove rotte in Tunisia». La presenza e il contributo dell’Italia in tutto questo traffico è molto consistente.
Noi contribuiamo al Trust Fund attraverso il nostro Fondo Africa.
Un atto «illegittimo per eccesso di potere». Dicono gli avvocati dell’Asgi – Giulia Crescini e Cristina Laura Cecchini – riferendosi alla misura con cui il nostro Ministero degli esteri ha usato il Fondo Africa in Libia.
Quello stesso fondo che, nelle intenzioni iniziali, avrebbe dovuto esser destinato ad «interventi straordinari volti a rilanciare il dialogo e la cooperazione ma che in realtà che è servito ad altro. (…)
L’articolo completo è uscito sul numero di gennaio di Popoli e Missione.