Proprio sul confine tra Messico e Usa, dove fanno affari i narcos e fiumi di migranti cercano di passare la frontiera, le suore Missionarie Clarisse del Santissimo Sacramento aiutano chi si trova in difficoltà.
Centinaia di migliaia di persone stanno già attraversando, e lo faranno sempre di più nei prossimi mesi, il Messico per raggiungere la frontiera con gli Stati Uniti.
Il 12 maggio scorso è scaduto, infatti, il Titolo 42, la misura introdotta dal presidente Trump per respingere i richiedenti asilo a causa della pandemia.
A Ciudad Juarez, e nella stessa El Paso, nel Texas, migliaia di persone sono state radunate in centri di accoglienza improvvisati in attesa di quelle che saranno le nuove norme sull’immigrazione.
Intanto si parte, dal Messico come da tutta l’America Latina.
Fiumi di persone attraversano uno dei Paesi più complicati al mondo, per andare in cerca di fortuna.
«E’ inutile nascondere che il Messico è un Paese con tante povertà e tante necessità – ci dice suor Juanita Pérez Hernández, delle suore Missionarie Clarisse del Santissimo Sacramento -.
L’economia è fragile ed il narcotraffico una piaga importante, all’origine del clima di violenza che si respira nel Paese e delle sofferenze che patisce la popolazione, perché vivere in alcuni luoghi non è per niente facile».
Stime approssimative dicono che la guerra al narcotraffico, dichiarata dal presidente Felipe Calderon per legittimare la sua contestata elezione del 2006, abbia provocato in meno di dieci anni circa 100mila morti, negli scontri fra i cartelli della droga, trafficanti e forze dell’ordine (di esercito e polizia), senza risolvere il problema ma aumentando, invece, le violazioni dei diritti umani e favorendo pratiche di corruzione ed impunità.
Tra coloro che risultano più schiacciati nei meccanismi di potere e sopraffazione, mai del tutto sopiti in Messico, ci sono le popolazioni indigene eredi della cultura maya – le etnie Tzotzil, Tzeltal, Lacandòn, Tojolabal, Zoque, Mame, Ch’ol – concentrate soprattutto nel Chiapas, lo Stato più a Sud degli “Stati Uniti Messicani”.
Sono gli indigeni per cui l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) del Sub Comandante Marcos, il 1 gennaio 1994, dichiarava guerra al governo messicano occupando sette comuni della regione, tra cui San Cristobal de Las Casas, da dove Marcos lesse la prima “Dichiarazione della Selva Lacandona”, con la quale dichiarava guerra all’esercito federale messicano e denunciava lo sfruttamento degli indigeni.
«Le prime sorelle arrivate qui negli anni Sessanta hanno dovuto fronteggiare mille urgenze – racconta suor Juanita -.
Tra le popolazioni indigene hanno trovato un analfabetismo diffuso, soprattutto tra le ragazze che non avevano la possibilità di studiare, non essendo riconosciuta alle donne la stessa dignità degli uomini.
E poi le morti premature per tante malattie curabili, per questo in quegli anni ci siamo molto occupate di sanità in un centro che offriva medicine, visite mediche e cure dentali, essendo la pastorale sanitaria uno dei carismi della nostra famiglia religiosa».
E’ il 1974 quando la fondatrice della congregazione, la Beata Madre María Inés, riesce a comprare un terreno a nove chilometri da San Cristobal de Las Casas – una città a 2100 metri di altitudine conosciuta come “la perla del Chiapas” – per accogliere 30 famiglie indigene ed aiutarle a fortificare la loro fede, liberandole da un atavico sottofondo di superstizione e idolatria.
Erano famiglie che erano state espulse dai loro luoghi natii perché volevano vivere la loro fede cattolica in maniera matura, vittime di violenze e sopraffazioni da parte della loro stessa gente.
Famiglie appartenenti al gruppo etnico Tsotsil che vivevano nei paraggi di San Juan Chamula: Saclamatón, Muquem (la maggioranza), Chik´omtantik, Kotolte´ e Saktsu, e che non conoscevano la lingua spagnola.
«Ad ogni famiglia fu dato un ettaro di terreno perché potesse costruire la propria casetta, tenere degli animali e seminare del mais – spiega ancora suor Juanita -, con le uniche condizioni di mandare i loro figli a scuola, non disboscare senza permesso e di partecipare alle assemblee sociali quando fossero state convocate».
Una scuola, un dispensario, una mensa ed una casa per gli esercizi spirituali si trovano oggi nella missione della “Florecilla”, il piccolo fiore piantato dalle suore, che dopo quasi 40 anni è arrivato ad accogliere 165 le famiglie e circa 700 persone.
Nel Chiapas le Suore Missionarie del Santissimo Sacramento gestiscono altre tre comunità, una a Matazan e due a San Cristobal de Las Casas. In una di esse, la “Casa di formazione integrale per giovani Maria Ines”, le suore gestiscono anche un’emittente radiofonica che trasmette un programma in lingua tsotsil, “Walking with Maria”, ed uno studio dentistico, dove suor Teresita Alondra Mendoza Galván mette a disposizione di tutti le sue capacità di medico dentista.
«Lo stile è sempre quello – chiude suor Juanita -testimoniare l’amore fraterno in uno spirito di comprensione e di servizio, nell’amore e nella pace, così come ci ha insegnato, fino all’ultimo, la nostra amata Madre Ines».