Africa: meno armi dalla Russia, sul gas e petrolio torna in auge l’Europa

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La Russia rimane un partner economico solido per diversi Paesi africani, sebbene sia fortemente (e fortunatamente) in calo l’export di armi da Mosca all’Africa. L’Europa, invece, rafforza la sua presenza sul versante dell’estrazione dei combustibili fossili in diverse regioni africane.  

È oramai noto, come ricorda bene il Financial Times, che molti governi africani «hanno chiuso un occhio sulla campagna di Vladimir Putin per ridisegnare la mappa dell’Europa con il sangue».

Se ventotto Paesi hanno votato all’Onu una risoluzione di condanna dell’invasione ucraina, «17 su 54 si sono astenuti e otto erano troppo impegnati per votare».

L’astensione di molti africani – tra cui l’Angola, la Repubblica Centrafricana, il Mali, il Mozambico, il Sudafrica, il Sudan e lo Zimbabwe – è «anche segno della strisciante influenza russa che si mescola a una mal riposta nostalgia per l’Unione Sovietica», dice il Financial Times.

Ma a fronte della “grande amicizia” che per diverse ragioni lega l’Africa alla Russia di Putin, i disagi e le conseguenze nefaste del protrarsi della guerra in Ucraina sul continente nero, sono una realtà evidente.

E sarà questo il tema dei prossimi anni per l’Africa.

Anzitutto, come scrive Foreign Policy concentrandosi sull’aspetto degli armamenti (su questo punto i pacifisti tirano un sospiro di sollievo!), la Russia finora è stata il più grande rifornitore di armi di ogni calibro e natura ai Paesi africani in guerra o guerriglia, a partire da Algeria, Egitto, Sudan e Angola.

Non sarà più possibile nel breve termine continuare ad esserlo, poiché tutta la produzione russa serve a Mosca per la guerra in corso.

Qui l’articolo che ne parla, dal titolo: “l’Ucraina ha messo a terra il business delle armi della Russia”.

Secondo il Sipri, Stockholm International Peace Reaserch Institute, Mosca fornisce (o meglio dire forniva) a questi Paesi circa la metà dell’export mondiale di armi; ma con il protrarsi del conflitto Putin sarà costretto a limitarne di molto la vendita all’Africa.

«La Russia ha una lunga storia di rifornimenti di elicotteri, come gli Mi-17 e gli Mi-35 ai clienti africani adoperati per le operazioni di contro-insurrezione», scrive Foreign Policy.

I governi africani sono allarmati per un possibile “abbandono” del campo dell’export. Da chi ottenere tutti questi rifornimenti a buon mercato?

Ma a parte gli armamenti c’è naturalmente una grandissima preoccupazione per le conseguenze deleterie che la guerra ucraina sta avendo sull’Africa dal punto di vista dei rifornimenti alimentari, dei fertilizzanti e di tutti i macchinari agricoli che arrivano dall’Europa dell’Est e dalla Russia.

Lo ricorda il Jordan Times in un pezzo dal titolo:What Ukraine war means for Africa”.

I legami del continente nero con l’ex blocco sovietico sono molto più stretti di quanto avessimo sempre immaginato noi europei e si sono ulteriormente rafforzati in questi anni di allontanamento politico dell’Europa dall’Africa. Il pezzo di The Africa Report lo spiega bene.

Eppure adesso, come scrive il Guardian, il conflitto russo-ucraino sta generando un riavvicinamento dell’Africa al Vecchio Continente. Quale?

L’Europa messa alle strette sul gas russo e su tutto il capitolo energetico, volge ancora di più lo sguardo languido all’Africa povera ma ricca di combustibili fossili (Mozambico, Egitto, Angola, Nigeria, Tanzania e Congo sono le galline dalle uova d’oro), e serra le fila.

Il gas naturale africano (in Senegal tra 2014 e 2017 sono stati scoperti enormi giacimenti di gas), e il petrolio che continua ad essere estratto nonostante il nuovo corso della green economy (ne è un esempio il progetto Eacop della TotalEnergies in Tanzania), sono un’ancora di salvezza per il Vecchio Continente.

E rappresentano anche l’unico spiraglio di ripresa per l’Africa Subsahariana messa sotto pressione dai debiti e dagli squilibri interni.

A rimetterci è senz’altro l’ambiente e con esso la lotta ai cambiamenti climatici che rischiano grosso con il revival dei combustibili fossili in Africa. 

Ma a farne le spese sono come sempre anche le popolazioni africane povere e senza chance, che pagano il conto di un business in gas e petrolio molto lontano dagli standard di sviluppo umano richiesti dall’Agenda Onu per il 2030.