Mali, Paese militarizzato in balia dei colpi di Stato

"A soffrirne è un intero popolo", dice padre Mauro Armanino, dal Niger.

Facebooktwitterlinkedinmail

«I militari giocano un ruolo preponderante in Mali, così come negli altri Paesi del Sahel», ma l’ultimo colpo di Stato ‘annunciato’, a Bamako, dimostra che «la crisi è anzitutto politica». C’è una «debolezza strutturale» nella rappresentanza politica che fa il gioco dei militari.

Così padre Mauro Armanino, missionario della Società delle Missioni Africane in Niger, cerca di spiegarci al telefono dal Niger, cosa stia accadendo in questi giorni nel Paese del Sahel dove nuovamente l’esercito ha ribaltato con la forza il potere.

Il 24 maggio scorso il presidente di transizione, Bah Ndaw e il suo primo ministro, Moctar Ouane, sono stati arrestati dai membri delle forze armate e condotti nella caserma di Soundiata Keïta, un campo, che come spiega The Africa Report, «è stato sempre al centro di ogni colpo di Stato».

E sì perchè il Mali è avvezzo oramai agli improvvisi rovesciamenti di leadership, come fosse una prassi consolidata e quasi tollerata, per favorire l’ascesa di uomini più vicini all’esercito.

Stavolta però si tratta «di un colpo di Stato nel colpo di Stato», dice Armanino, parlando dalla sua missione nigerina. Il Paese era soggetto ad un governo di transizione dal 18 agosto 2020, data del precedente colpo di Stato.

Ciò che interessa noi missionari, argomenta padre Mauro che non esclude vi sia dietro una lotta geo-politica tra Francia e Russia, è che «questa perenne destabilizzazione politica e sociale, con vuoti di potere e giochi di forza, naturalmente nuoce al popolo».

Poichè non dà nè stabilità nè forza al Paese. E impedisce di portare avanti qualsiasi programma di ripresa economica o investimenti sociali.

Il Mali d’altra parte è un tassello dello scacchiere africano prioritario per l’Europa, poichè luogo di infiltrazione e di azione del terrorismo di matrice jihadista, e perciò tenuto strettamente sotto controllo tramite una Task force europea a guida francese.

A seguito del primo Colpo di Stato del 2012 «il vacuum di potere ha consentito ai movimenti indipendentisti e ai gruppi islamisti dell’area di contrastare le forze di sicurezza locali e guadagnare controllo del territorio – scrive il ministero della Difesa italiano –  Su richiesta del Mali, nel 2013 è stata avviata la missione francese denominata Serval» e diventata Takuba nel 2019.

L’Italia partecipa alla ‘missione militare’ Takuba con 200 unità di personale militare, 20 mezzi terrestri e 8 mezzi aerei. Nel Paese sono presenti 5mila militari francesi. 

Padre Mauro spiega che le persone in Mali, la società civile, i cittadini semplici «sono molto disincantati e avvezzi sia ai militari stranieri che a quelli locali».

Si tratta di un Paese del tutto militarizzato ma che fa acqua da ogni parte dal punto di vista amministrativo e sociale.

«C’è anche un’altra cosa da dire – aggiunge il missionario –  e cioè che la situazione che ha portato ai colpi di Stato ripetuti dimostra pure l’immaturità del popolo stesso al momento del voto».

Se è vero che nel Sahel gli eserciti fanno il bello e il cattivo tempo, è anche vero che «i leader politici sono deboli e si lasciano sopraffare».

Da qualche giorno la Corte costituzionale del Mali ha dichiarato il colonnello Assimi Goïta nuovo presidente, con una sentenza che di fatto avalla il potere dei militari.