M.O./Paola Caridi: “a Gaza i civili sono obiettivo di una nuova Nakba”

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Nello strazio della guerra di Gaza, che prosegue nonostante le violazioni del diritto internazionale e la strage di bambini, i civili palestinesi non sono vittime collaterali.

«Ma ahimè rappresentano il preciso oggetto, il prezzo e l’obiettivo di una strategia che prevede una nuova Nakba».

A dirlo, in questa intervista pubblicata per intero su Popoli e Missione di dicembre, è Paola Caridi, giornalista, storica e scrittrice esperta di Medio Oriente.

Con il termine Nakba – letteralmente “catastrofe” – si intende l’esodo forzato della popolazione arabo-palestinese durante la  del 1947-48, al termine del mandato britannico.

Oggi un ulteriore esodo è alle porte e i progetti di “deportazione” dei palestinesi di Gaza lo dimostrano.

«In Cisgiordania da anni è in corso una Nakba a gocce – precisa Caridi – Sia nella zona di Hebron che di Nablus i coloni ebraici israeliani sono sostenuti dall’esercito israeliano».

Ma qualcosa di molto più potente e definitivo è avvenuto dopo la data spartiacque, quella del 7 ottobre 2023, quando «l’ala militare di Hamas – le brigate Izz al-Din al-Qassam – preso il sopravvento, hanno compiuto un massacro dentro Israele».

Questa tragedia ha scatenato un processo a catena (forse) irreversibile.

È l’epilogo della “catastrofe” palestinese.

A preoccupare la studiosa è il fatto che a livello di Unione Europea e Usa «non si capisca quanto i civili palestinesi siano l’obiettivo e il prezzo – ripete – di ciò che scatenerà o ha già scatenato l’escalation».

Ci sono gli eserciti, ci sono le armi, ci sono i politici e poi ci sono i civili, come una pedina del nuovo Risiko.

Ma come si è arrivati a tutto questo?

Hamas non è l’Isis, ma Fratellanza Musulmana
È necessario sfatare alcuni falsi miti, spiega la studiosa:

«Hamas non è né un prodotto di vertice come l’Isis, né tanto meno una organizzazione nata e sostenuta da Israele contro Fatah», contrariamente a certa vulgata.

In origine Hamas «si è irraggiata in tutti i frammenti della società palestinese: a Gaza come in Cisgiordania, nei campi profughi del Libano e nei vari Paesi in cui esiste il rifugio nato dopo il ‘48».

Raccontare Hamas significa anche parlare della sua diretta emanazione dai Fratelli musulmani palestinesi, una declinazione di quelli egiziani.

Si forma 40 anni fa, prima ancora del suo battesimo pubblico nel dicembre del 1987.

La giornalista fa notare che «uno degli slogan degli analisti è oggi quello di appaiare Hamas all’Isis, non comprendendo che l’Isis è un’operazione calata dall’alto».

Hamas nasce invece come prodotto della società palestinese ed ha sempre trovato ragione e forza nel suo legame con il popolo.

Dunque annientare i terroristi non significherà risolvere il conflitto. Tutt’altro.

Ma è altrettanto errato sovrapporre l’ala militare di Hamas al popolo palestinese tout-court, perché dopo 16 anni di “prigione di Gaza”, sono due entità nettamente separate.

Il popolo palestinese peraltro si è opposto ripetutamente ad Hamas in questi ultimi anni, ma senza successo.

(L’intervista prosegue sul numero di dicembre di Popoli e Missione. Per richiederne una copia scrivi a popoliemissione@missioitalia.it)