L’Unhcr a Netanyahu, “non è gradita la marcia indietro sui rifugiati”

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Dopo la marcia indietro del premier israeliano Benjamin Netanyahu, che ha deciso di ritirarsi dall’accordo sul ricollocamento dei richiedenti asilo africani stipulato con l’Alto Commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR), il portavoce dell’agenzia Onu ha divulgato un comunicato, esprimendo delusione e perplessità.

«E’ con delusione – si legge – che l’Unhcr apprende della cancellazione da parte del primo ministro Netanyahu dell’accordo siglato il 2 aprile scorso per trovare una soluzione per gli eritrei e i sudanesi che attualmente si trovano in Israele».

L’accordo in realtà prevedeva una parziale “messa in regola” dei richiedenti asilo in Israele e il successivo loro trasferimento in tre Paesi occidentali: Italia, Canada e Germania.

L’Unhcr chiama questa intesa «un accordo win-win, che avrebbe beneficiato sia Israele sia le persone che hanno bisogno dello status di rifugiato (asilo), nell’interesse di tutti».

Pertanto, scrive: «Incoraggiamo il governo di Israele a riconsiderare la questione, mentre rimaniamo pronti ad offrire il nostro aiuto».

L’idea dei funzionari delle Nazioni Unite, alla base della stipula di questa intesa, era quella di consentire ai richiedenti asilo di non rimanere in Israele senza un permesso e dunque alla mercè delle forze dell’ordine, e successivamente «se a rischio nei loro paesi», di poter procedere con la richiesta di rifugiato politico in Paesi terzi ‘sicuri’, nello specifico se ne erano individuati tre, compresa l’Italia.

«Nel caso degli eritrei, ad esempio, oltre il 90% di loro ha buone possibilità di ottenere questo status in Europa», aveva chiarito Splindler dell’Unhcr.

Israele è noto per avere adottato da sempre una politica di respingimento dei migranti africani e di discriminazione nei loro riguardi. Tanto che in passato molti africani sono stati rimpatriati, in situazioni di alto rischio per la loro sopravvivenza.

Da una prima ricognizione sembra però anche che i governi occidentali interessati a questo ‘ricollocamento’ di persone da Israele non fossero stati messi a conoscenza dell’accordo.

In ogni caso è stata l’estrema destra israeliana a far retrocedere Netanyahu dal suo impegno: i tempi della regolarizzazione e del ricollocamento dei richiedenti asilo eritrei e sudanesi è infatti lungo; si parla di cinque anni per un numero di persone che supera le 16mila unità e la cui presenza sul suolo di Israele non è gradita alla destra israeliana.

foto dal sito di DW