Lo Sri Lanka e i fantasmi del passato, “ostacoli per la pacificazione”

Intervista esclusiva al cardinale Malcom Ranjith.

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«Un’inchiesta internazionale per il mio popolo» è l’appello del cardinale Malcom Ranjith dallo Sri Lanka. L’arcivescovo di Colombo parla apertamente dei problemi politici e sociali che ancora ostacolano la pacificazione del Paese.

 «Esistono indizi chiari che i governanti dello Sri Lanka non hanno permesso un’inchiesta trasparente e indipendente sugli attentati della Pasqua 2019».

Parla senza filtri il cardinale e arcivescovo di Colombo, Malcom Ranjith, da un’auto con cui sta viaggiando in Europa assieme a un confratello.

Recentemente è stato al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite di Ginevra, che lo scorso 11 settembre si è riunito per affrontare la questione dell’impunità nel Paese asiatico.

Verità e giustizia non sono state ottenute neppure per le atrocità commesse dal 1983 al 2009, durante la guerra civile fra guerriglieri tamil ed esercito governativo.

«Una follia, un’assurdità, un conflitto inutile.

Purtroppo, dopo l’indipendenza dai britannici i nostri politici hanno continuato ad accendere il fuoco razziale tra i cingalesi buddisti e i tamil indù, e anche tra le altre comunità» continua Ranjith che spera in un’indagine internazionale sulle vittime degli attentati pasquali, ma anche sugli almeno 80mila morti e 65mila scomparsi della guerra.

«Far sparire delle persone è un crimine contro l’umanità» dice il prelato nato 75 anni fa in una cittadina del Nord ovest dell’ex Ceylon e ha studiato a Roma, presso l’Università Urbaniana di Propaganda Fide.

Il Consiglio ONU è l’unico luogo dove i leader dello Sri Lanka sono stati invitati per più di dieci anni a fare luce sulle gravi violazioni dei diritti umani commesse rispettivamente dai governi nazionalisti a maggioranza cingalese e dai separatisti delle Tigri tamil.

Sono state adottate diverse risoluzioni, l’ultima nell’ottobre 2022, ma senza alcun risultato.

L’attuale presidente Ranil Wickremasinghe ha riproposto una commissione locale, la National Unity and Reconciliation Commission (Nurc).

Essa è simile a quella annunciata e mai realizzata nel 2015, quando Maithripala Sirisena era presidente e lui primo ministro.

Si tratta della quarta amministrazione che dice di volersi ispirare alla Commissione per la Verità e la Riconciliazione ideata dal presidente sudafricano Nelson Mandela e presieduta dall’arcivescovo anglicano Desmond Tutu, negli anni Novanta, dopo la fine del regime dell’apartheid.

Vari funzionari e ministri srilankesi si sono recati in Sudafrica per ricevere una “formazione”, ma – a parte il clamore mediatico generato da questi viaggi – non è stato istituito alcun tribunale speciale.

Le uniche due istituzioni di giustizia transitoria, che dovevano indagare sugli scomparsi e risarcire i famigliari, non hanno ricevuto fondi e sostegni politici sufficienti.

Il Consiglio ONU, inoltre, potrebbe non riunirsi più dopo il settembre 2024, a meno che la maggioranza degli Stati membri voti un’altra risoluzione che chieda al governo dello Sri Lanka di fare luce sui crimini commessi in 40 anni.

L’ultimo massacro è avvenuto dieci anni dopo la fine della guerra. Il 21 aprile 2019, mentre si celebrava la Pasqua, un sedicente gruppo jihadista affiliato allo Stato Islamico ha fatto esplodere tre chiese, tre hotel, una guest house e un complesso residenziale.

Sono rimasti uccisi 270 individui, tra i quali 45 stranieri di 14 Paesi diversi. «Il Consiglio Onu per i Diritti Umani andrà avanti» dichiara convinto il cardinale Ranjith.

«Non si può dire che il capitolo è chiuso.

Gi attentati sarebbero stati compiuti da pochi fanatici musulmani, ma si sospetta che siano stati ordinati e guidati da alcuni politici srilankesi con l’aiuto dell’intelligence militare e di poliziotti locali.

I servizi segreti stranieri avevano avvisato Colombo di un pericolo imminente. Perché non sono stati ascoltati?».

Il religioso continua: «Tutti i Paesi che hanno avuto vittime possono domandare insieme che si arrivi alla verità».

Se questi 14 governi si rivolgessero alla Corte Internazionale di Giustizia si innescherebbe probabilmente un circolo virtuoso, che dagli attentatori di Pasqua porterebbe a chiarire le responsabilità delle classi dirigenti degli ultimi decenni. 

(L’articolo per intero è stato pubblicato sul numero di dicembre di Popoli e Missione.

Le foto dell’Afp sono di proprietà della Fondazione Missio).