L’estate anomala del climate change, tra Africa e Americhe

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I fenomeni meteo estremi colpiscono diverse zone del globo facendo disastri nei Paesi già in crisi, dalle Americhe al Sahel all’Africa del Sud.

La fame è un fenomeno sempre più collegato al clima e all’intervento deleterio dell’uomo.

«Il mondo ha già fallito in modo eclatante nel raggiungimento del secondo Obiettivo del Millennio che prevedeva entro la data limite del 2030 di arrivare a “zero hunger”, ossia alla “fame zero” per l’intero globo terrestre. Il cambiamento climatico è il fattore chiave che ha esacerbato l’insicurezza alimentare».

A scriverlo, citando l’ultimo importante report della Fao sul food insecurity, è il giornale online Arab News.

Il rapporto è stato pubblicato a luglio scorso ed è relativo allo “Stato della nutrizione e della sicurezza alimentare nel mondo 2024”.

Tra le principali cause relative alla scarsità di cibo rientrano cicloni, alluvioni, esondazioni, siccità e carestie.

Il mondo è un luogo sempre più insicuro, soprattutto in Africa.

Ma anche le Americhe non scherzano.

Una regione come Haiti soffre di sconvolgimenti climatici e di instabilità politica al tempo stesso.

Spesso le due cose vanno di pari passo: laddove il meteo incide sulla povertà e sconvolge le esistenze di milioni di persone, è più facile imporre il caos e l’anarchia politica. Il sito della BBC dedica un pezzo articolato con tanto di disegni ed elementi grafici, ai danni provocati dagli uragani nei Caraibi.

«Diverse zone caraibiche affrontano condizioni meteo “estremamente dannose” a partire dall’uragano Beryl», si legge.

«Tifoni e cicloni sono disturbi atmosferici notevoli, ad esempio le onde tropicali, aree di bassa pressione dove tempeste e temporali imperversano».

La Reuters parla proprio della minaccia dell’uragano Beryl su Haiti e Repubblica Domenicana: «nella capitale Port-au-Prince che è già nelle maglie della violenza delle gang e intrappolata in una crisi umanitaria, i forti venti hanno preso di sorpresa i residenti martedì pomeriggio».

Le cronache parlano di uragani che nei quartieri poveri portano via i tetti delle case.

Sul versante africano queste impennate di cambiamenti climatici distruggono la vita di milioni di persone già ai limiti della sopravvivenza e costringono alla fuga.

Sia dentro che fuori dall’Africa.

Ma quanto c’entra la mano dell’uomo in tutte le anomalie climatiche fortemente accelerate? Molto.

Il caldo estremo, le tempeste di sabbia e le ondate di calore sviluppate nel Sahel e in Africa Occidentale, ad esempio, con temperature che arrivano fino a 45gradi centigradi «non sarebbero state possibili – scrive il sito IFRCC (International Federation of Red Cross and Red Crescent Societies) – se non ci fosse stato il cambiamento climatico provocato dall’uomo».

In Mali, denuncia sempre IFRCC, le temperature ad aprile scorso hanno raggiunto i 48 gradi centigradi e l’ospedale Gabriel-Toure ha registrato un’impennata di decessi dovuti al caldo, con 102 morti nei primi quattro giorni di aprile.

Nello Zambia e nello Zimbabwe non c’è più acqua e la siccità uccide quanto venti e tempeste: tra razionamenti d’acqua pubblica, elettricità centellinata e piogge scarse, lo Zambia oggi vive una delle stagioni invernali più secche (e parzialmente anomale) della sua storia.

Al Jazeera titola: “lo Zambia dichiara il disastro nazionale dopo che la siccità ha devastato l’agricoltura”.

«È la crisi peggiore degli ultimi 40 anni», conferma l’Ocha, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli aiuti umanitari.

(L’articolo prosegue sull’ultimo numero di Popoli e Missione).