L’Africa non è fake news

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“Anche il leone deve avere chi racconta la sua storia. Non solo il cacciatore”. Capovolgere i luoghi comuni, gli stereotipi i pregiudizi sull’Africa e gli africani, raccontare attraverso la testimonianza diretta dei missionari comboniani il volto autentico del continente: questi gli obiettivi dell’incontro con la stampa del prossimo 14 novembre alla Radio Vaticana. Di fronte alle semplificazioni e alle frequenti ondate di xenofobia e razzismo che si diffondono in Italia e in Europa, è possibile ripartire da un ancestrale detto africano che recita: “Anche il leone deve avere chi racconta la sua storia. Non solo il cacciatore”. Non c’è solo la storia dei forti, anzi, gran parte dell’umanità contemporanea è tagliata fuori dalle narrazioni quotidiane dei media occidentali e del nord del mondo. Il perdurare e l’intensificarsi negli ultimi decenni del fenomeno migratorio, ha poi alimentato paure, strumentalizzazioni politiche, diffidenze, letture superficiali. Migrazioni e crisi economica “Lo ‘sconosciuto’ provoca in noi sconcerto e paura – spiega padre Rogelio Bustos. del Consiglio generale dei comboniani – riempie la nostra testa di fantasmi. Inoltre, direi che anche la crisi economica di questi anni ha ulteriormente esacerbato gli animi, per cui si vede lo ‘straniero’ come un possibile contendente per un lavoro che scarseggia. Naturalmente parte della stampa e movimenti politici senza scrupoli alimentano questo clima di sospetto e di paura”. Tuttavia non va dimenticato che “se i popoli esistono è grazie a quel seme che germinò migliaia di anni fa in un continente che chiamiamo ‘Africa’ e che ha reso possibile la formazione di razze e gruppi etnici diversi. Le migrazioni esistono da sempre. Basta pensare ai primi cacciatori nomadi, arrivati alla sedentarizzazione con l’agricoltura, o ai pastori che si spostavano cercando l’alimento per allevare i loro capi di bestiame”. “Cosa hanno fatto tante volte le nazioni europee e le altre potenze mondiali con l’Africa? Una volta scoperte le grandi risorse naturali hanno spogliato il continente per il proprio beneficio” conclude padre Bustos. D’altro canto se è fondato denunciare il deficit di virtuosismo da parte delle leadership africane, si dimentica troppo facilmente che spesso le oligarchie locali sono al soldo di potentati stranieri (cinesi, americani, europei…). Col risultato che in Africa si acuiscono a dismisura fenomeni come l’esclusione sociale o il land grabbing (il cosiddetto accaparramento dei terreni da parte di imprese straniere di Paesi ricchi di cui l’Africa è la prima ‘vittima’), unitamente allo sfruttamento delle commodity (materie prime). Fra liberismo e cooperazione Un discorso analogo va fatto per le norme e i regolamenti internazionali relativi al commercio. Basti pensare agli Epa (Economic Partnership Agreements; in italiano Accordi di Partenariato Economico) con cui l’Unione Europea (Ue) ha imposto ai Paesi Acp (Africa, Caraibi e Pacifico) di eliminare tutte le barriere all’entrata su merci, prodotti agricoli e servizi provenienti dall’Ue, mettendo fine alla non reciprocità sancita dalla Convenzione di Lomè. Libero scambio, quindi, su tutti i fronti, come richiesto dalle norme del Wto, con l’idea che la riduzione delle barriere commerciali incentivi la crescita economica dei Paesi in via di sviluppo, contribuendo allo sradicamento della povertà. Purtroppo il risultato è di segno contrario: con il ribasso progressivo delle tariffe doganali all’importazione dei prodotti europei, si sta generando un danno irreversibile alle già precarie economie nazionali africane. Eppure un altro tipo di scambio e di incontro fra Europa e Africa è possibile. L’Europa, fin dall’antichità, ha offerto non solo all’Africa ma a tutto il mondo valori legati alla filosofia, al pensiero, al modello di società e al governo. Il continente africano ha la forma di un cuore. “I popoli africani – spiega ancora padre Bustos – secondo la testimonianza di tanti dei nostri missionari e missionarie, di tanti volontari, offrono anche quella dose di umanità tanto necessaria ai nostri tempi ricordandoci i valori fondamentali che sono andati persi a causa del ritmo frenetico della nostra vita. Credo che sia arrivato il momento di promuovere una maggiore cooperazione internazionale nel rispetto reciproco delle varie culture in vista di una crescita olistica in cui constatiamo che dobbiamo aiutarci gli uni gli altri diventando veri fratelli in grado di contribuire alla costruzione di un mondo più giusto e fraterno”. In questo contesto cade anche la ricorrenza per i 150 anni dalla fondazione dei comboniani. L’eredità più importante di Daniele Comboni sta propria nel suo amore per l’Africa e nella sua grande fiducia negli africani, nell’idea cioè, che l’Africa potesse essere protagonista del proprio destino, in un’epoca – per altro – in cui la grande spartizione del continente da parte delle potenze coloniali stava cominciando e la piaga dello schiavismo era ancora presente; al contrario Comboni pensava che l’Africa stessa avesse la sua parte da giocare per arricchire la Chiesa e il mondo dei suoi valori spirituali. All’incontro con la stampa prenderanno parte: padre Domenico Guarino, comboniano della comunità di Palermo (impegnato nell’accoglienza dei migranti); suor Gabriella Bottani (comboniana, coordinatrice di ‘Talitha Kum’, rete mondiale della vita consacrata contro la tratta delle persone); padre Elias Sindjalim (comboniano togolese); Luciano Ardesi (africanista, collaboratore di Nigrizia). Modera l’incontro padre Giulio Albanese, direttore di ‘Popoli e Missione.