Nulla si perde con la pace, salvo i guadagni dei costruttori di morte.
Guadagni che non si fanno solo con le armi, ma con lo sfruttamento finanziario da parte dei pochi ricchi.
Una conseguenza forse non abbastanza sottolineata è che tra i costi della guerra russo-ucraina c’è quello in termini di fame pagato soprattutto dalle popolazioni del Sud del mondo, già provate dalla riduzione di rifornimenti alimentari durante la pandemia di Covid.
I dati della Fao sono impietosi: Russia e Ucraina rappresentavano prima della guerra, il 30% del mercato planetario dei cereali, ma la percentuale per una cinquantina di Paesi dell’Africa e dell’area mediterranea raggiungeva picchi tra il 70% e il 100%
Da due anni alla difficoltà di trovare nuove rotte per il cibo data l’insicurezza nel Mar Nero, si è sommata l’impraticabilità di gran parte dei terreni agricoli, o perché diventati teatri di guerra – con ordigni inesplosi che sarà lungo e difficile bonificare –, o perché degradati dalla desertificazione. All’inizio del 2020 gli affamati nel mondo erano 2,3 miliardi.
La sola guerra russo-ucraina in due anni ne ha aggiunti 300 milioni.
Tuttavia, in una negazione pervicace di ragionevolezza, le voci di pace, compresa quella del papa, sono ridotte – o meglio irrise e banalizzate – a “ingenui sentimenti” nel linguaggio della politica, della stampa e purtroppo di larghe fasce delle opinioni pubbliche.
C’è qualcosa di strano, o meglio di insano, in questo sistematico rifiuto di verità evidenti, in questa imposta orgia di menzogne belliciste, che dovrebbero bastare fatti e cifre a denunciare.
Perché proprio fatti e cifre sostengono le parole del papa contro la guerra, contro l’oppressione del povero, contro la cultura dello scarto, sulla necessità di un’economia diversa basata sulla dignità del lavoro e non sullo strapotere del profitto di pochi.
La sua voce e tutte quelle di giustizia e di buon senso sono tutt’altro che ingenue, anche sforzandosi di ignorare il tragico conteggio di morti, feriti, profughi che le guerre comportano e ragionando secondo le categorie tanto care ai laudatori del “libero” mercato.
Le guerre assorbono il 13% del cosiddetto Prodotto interno lordo mondiale e sottraggono alle necessità delle popolazioni oltre 14 trilioni di dollari (in cifra si scrive 14 seguito da 12 zeri).
La sola spesa diretta in armamenti, in continua crescita nell’ultimo ventennio, secondo l’ultimo dato accertato dal Sipri di Stoccolma (Istituto di studi sulla pace tra i più attendibili al mondo) nel 2022 è stata di oltre 2.240 miliardi di dollari, per il 56% da Paesi della Nato, seguiti da Cina e Russia che insieme non raggiungono la metà della cifra statunitense.
Mancano dati certi sul passato più recente, ma è evidente che le guerre in Ucraina e a Gaza hanno aumentato la spesa, dato che le altre non si sono certo fermate.
Nello stesso anno il bilancio delle organizzazioni dell’Onu per sostegno all’agricoltura e all’alimentazione è stato di due miliardi e mezzo di euro.
E l’anno scorso è diminuito, mentre solo per armi all’Ucraina gli Usa e l’Ue hanno speso oltre 21 miliardi di dollari, una cifra bastante a rimettere in moto la totalità dei progetti di sviluppo sociale dell’Onu fermi da almeno un quinquennio.
Quei 2240 miliardi significano sei miliardi al giorno, cioè più del bilancio annuale dell’Organizzazione mondiale della sanità.
La Banca mondiale stima che molto meno di 184 miliardi, un mese di spesa in armi, garantirebbero acqua potabile e servizi igienico-sanitari di base a quanti nel mondo non ne hanno, oltre due miliardi di persone, riducendo drasticamente le malattie, soprattutto infantili.
Con 267 miliardi di dollari in più l’anno, spesi per le armi in un mese e mezzo, secondo l’Onu si metterebbe fine alla fame nel mondo entro il 2030.
(Foto di Art Guzman: https://www.pexels.com/it-it/foto/raffreddore-freddo-neve-montagne-8079176/)