La fragilità (politica) del Niger e la prassi del Colpo di Stato nel Sahel

La presenza europea è servita finora a formare le forze armate. Per cosa?

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E’ il generale Abdourahamane Tchiani, leader degli ammutinati, e presidente della Guardia presidenziale, il nuovo uomo forte del Niger.

Tchiani si è presentato oggi come il Presidente del Conseil national de sauvegarde de la patrie (CNSP), la giunta militare che da mercoledì scorso tiene in mano il Paese sotto golpe.

Tchiani non aveva ancora preso parola pubblicamente, fino a questo momento era stato il colonnello Amadou Abdramane a parlare in tv.

Il Niger, così come il Mali e tutti i Paesi del Sahel, sono sempre stati Paesi fragili e questo nuovo Colpo di Stato rende ancora più fragile tutta l’area.

“La riuscita del colpo di stato è confermata, poiché i militari si sono schierati coi golpisti -commenta con noi dal Burkina Faso padre Paolo Motta-  Questo disegna uno scenario di tre paesi limitrofi saheliani sotto Colpo di stato, che hanno in comune la minaccia terrorista e l’insoddisfazione verso la collaborazione francese che contrasta gli islamisti”.

«In bilico tra fragilità ed eternità, la sabbia ben rappresenta  la permanente sfida ad ogni pretesa  di vana sicurezza. In questa porzione dell’Africa tutti sono coscienti che è la precarietà a dettare il ritmo e le stagioni del tempo», scriveva tempo fa padre Mauro Armanino, missionario storico a Niamey.

«La ‘sicurezza’ è un’utopia  nella quale pochi hanno creduto», dice padre Mauro.

«La vita, il lavoro, la pioggia, i raccolti, il cibo, i viaggi, i matrimoni, la salute, la scuola, la politica,  tutto sembra condizionato dal sapore dell’insicuro umano transitare».

Il golpe appena avvenuto, che ha sospeso la Costituzione, chiuso le frontiere e “fatto fuori” (fortunatamente solo per metafora), il Presidente Mohamed Bazoum è segno che la sola militarizzazione di un Paese che avrebbe bisogno di cultura, istruzione, sanità e pane, non basta.

Il popolo deve essere sostenuto affinchè ci sia una opposizione politica solida, finalizzata a più democrazia, e non una forza militare attrezzata per sovvertite gli eletti con le armi.

Eppure la parola d’ordine europea rispetto al Sahel è ‘sicurezza’.

Per cosa?

La presenza militare internazionale nel Sahel è aumentata: ufficialmente per combattere il jihadismo e garantire la sicurezza locale, come ribadiscono i comunicati stampa della Difesa.

In realtà per “esternalizzare le frontiere”, ci ripete padre Mauro. Ed impedire l’arrivo in Europa dei migranti dal Mediterraneo.

«Ci sono momenti storici – dice il missionario – nei quali le promesse arroganti e illusorie della sicurezza, la greca ‘Hybris’, sono  smascherate e appaiono nella loro nudità».

Da luglio 2022 in Niger, oltre alla partecipazione alla missione Ue EUCAP Sahel Niger, l’Italia ha potenziato la Missione bilaterale di supporto nella Repubblica del Niger con la costruzione della Base Aérienne 101 di Niamey.

«Il neo costituito Task Group opera dalla Base Aérienne 101 di Niamey con il velivolo C-27J, cargo medio particolarmente versatile e flessibile nell’impiego e in grado di svolgere con efficacia le diverse missioni da trasporto tattico – si leggeva la scorsa estate sul sito del ministero della Difesa italiano – operando anche da piste semi-preparate o deteriorate, così come le missioni di aviolancio di paracadutisti, fondamentali per l’addestramento del personale delle Forze di Sicurezza nigerine, svolto dai Mobile Training Team della MISIN».

L’obiettivo militare italiano in Niger è evidente, nonostante il tentativo di conquistarsi la fiducia di una parte della società civile oramai logora, proponendo piccole iniziative di Cooperazione.