Il punto di partenza per avviare una riflessione seria su questioni delicate come la «comunione ai divorziati e risposati o a coloro che convivano al di fuori del matrimonio» deve essere «la logica del Vangelo», non quella della «giustizia legale».
A parlarne con Popoli e Missione, a margine di un incontro di Missio Giovani a Roma, è Matteo Moretti, teologo dogmatico e prete dell’Arcidiocesi di Portoviejo in Ecuador, che cita testualmente la Carta Apostolica “Misericordia et Misera” di Papa Francesco.
Tutte le situazioni cosiddette ‘irregolari’, spiega, «le dobbiamo inquadrare mettendo al centro la logica di Cristo: ossia quella di un amore gratuito ed immeritato, elargito a tutti i figli di Dio non in ragione dei loro meriti, ma del bisogno di ciascuno di essere amato e accolto così com’è, senza condizioni».
I sacramenti, in particolare l’eucaristia, «non sono un premio per chi si comporta bene», ma semmai «una medicina per tutti i peccatori».
«Non è detto – spiega ancora il sacerdote – che una legge grave ed importante come quella che ci dice che il matrimonio è indissolubile, si trasformi necessariamente in una colpa grave ed irrimediabile nel momento in cui non viene osservata per via della fragilità delle persone.
Una sola cosa è certa: nessuno può essere condannato per sempre, qualsiasi sia la situazione, perché questa non è la logica del Vangelo!». D’altra parte Papa Francesco lo scrive molto bene nell’Amoris Laetitia.
E così in una visione sovvertita rispetto all’abituale, «noi riceviamo l’eucaristia per essere guariti. L’unico limite è il peccato mortale ma per ricadere in esso ci vuole una libertà assoluta; quando una persona non agisce in piena libertà, ma soffre un condizionamento, sia esso psicologico, biologico, economico o di qualsiasi altra natura, non c’è più il deliberato consenso e, per conseguenza, non si realizza il peccato mortale».
Papa Francesco ci indica la via del discernimento: «Non c’è nessuno tassativamente escluso – ribadisce Moretti – bisogna discernere perché la verità deve essere declinata nelle condizioni che richiedono le situazioni soggettive».
D’altra parte, elaborare un pensiero nuovo a livello ecclesiale, molto più centrato sull’amore e sulla carità che non sui precetti, «richiede una formazione continua: quella di religiosi e laici alla fonte del Vangelo».
«Urgenza prioritaria della nostra Chiesa è quella di reinvestire sulla formazione. Purtroppo il mondo della pastorale ordinaria nelle parrocchie si è molto cristallizzato su servizi, pure fondamentali, come sacramenti e celebrazione delle messe – argomenta don Matteo – ma che se non sono accompagnati da una conoscenza vera e approfondita di Cristo, rischiano di svuotarsi di senso».
Riportare al centro il Vangelo significa «utilizzare la parola di Gesù che è come una spada che ti taglia, che ti divide fino al midollo e ti mette in discussione, trasformandoti – se lo desideri, se lasci fare – in un miracolo vivente. Ci fa diventare una sorgente d’amore capace di trasformare il mondo in un paradiso terrestre: c’è quindi un disperato bisogno di iniettare formazione e Vangelo».
Per farlo, don Matteo Moretti suggerisce ad esempio il «recupero dell’itinerario formativo del catecumenato antico, che era la formazione tradizionale per diventare cristiani. Un qualcosa di molto importante nella nostra Chiesa, che ha funzionato per molti secoli, figliando cristiani di marca doc».
In modo che oltre alle messe vi siano altrettante «formazioni per fabbricare cristiani. Questo spazio di fabbricazione dei cristiani se lo sono assunto i movimenti, ma anche loro fanno fatica oggi: il Vangelo deve perciò esser rimesso al centro in tutti gli snodi ecclesiali, per poter trasformare il mondo».