Superata la paura di essere repressi, e finalmente galvanizzati dai risultati ottenuti, i giovani in Kenya non si fermano più.
Le proteste di piazza, avviate principalmente a Nairobi a partire dal 18 giugno scorso, «non sono ancora terminate ed hanno dato i primi frutti».
William Ruto, il Presidente costretto ad essere “accomodante”, su impulso della comunità internazionale, dopo la repressione della prima ora, si è messo in ascolto dei giovani.
Dialogando con loro come aveva promesso, sebbene finora «soprattutto tramite twitter».
La partita non è chiusa e il tentativo di silenziare la piazza impedendo nuove manifestazioni, è fallito.La Corte di giustizia ieri ha detto no al ‘ban’ della polizia, ossia al ‘divieto’ di scendere in piazza.
Dunque si va avanti. «I primi risultati sono concreti», ci spiega Fra Ettore Marangi, missionario a Nairobi.
«Ruto ha eliminato i fondi destinati alla first lady, ridotto gli stipendi ai parlamentari e i contributi all’ex presidente; oltre ad aver rimosso il precedente governo.
Questo, almeno, sul versante dei successi della piazza. Ma il braccio di ferro continua».
Secondo Fra Ettore, il fatto di non essere più legato ad una sola tribù, ma essere stato eletto da un intero popolo, lo rende più vulnerabile e più accomodante poichè «deve dare conto ad una popolazione intera».
D’altra parte lo slogan che si grida in piazza è: «”senza tribù, senza paura e senza leader”, questo chiede il popolo. Ed io aggiungo: senza religione, perchè il presidente ha tentato di farsi amici i poteri religiosi ma non ci è riuscito».
Secondo il sacerdote, il movimento libero, formato dagli studenti ma anche da esponenti della classe media keniana, «ha messo in luce la collusione di Ruto con i poteri religiosi.
Quando è diventato presidente, in casa sua accoglieva settimanalmente leader religiosi e congregazioni anche cattoliche, ma questo movimento rimette tutto in discussione».
Tanto che il vescovo di Nairobi ha «celebrato una messa in sostegno dei giovani nella basilica.
I ragazzi, dopo la messa si sono messi a gridare “Ruto must go”, tirando di fatto dalla loro parte gli esponenti della Chiesa cattolica».
Cosa vuole esattamente chi protesta?
Maggiore giustizia sociale, no alle diseguaglianze e agli sprechi, ottenere meno tasse e più lavoro.
Richieste legittime in ogni democrazia e Stato di diritto; che ora, anche in Africa, cominciano a diventare dei diktat.
Sarà sempre più difficile per i leader e i dirigenti politici africani annientare le domande di libertà e giustizia che vengono dal basso, a meno che non vogliano inimicarsi l’intera comunità internazionale.