E’ iniziata la demolizione di case in una delle più grandi baraccopoli d’Africa: Kibera, alla periferia di Nairobi. Le immagini dei bulldozer che spianano fragili ripari di terra e lamiera e in poco tempo distruggono le vite di almeno 30mila persone, fanno il giro del web e lasciano senza parole.
La popolazione dello slum, colta di sorpresa, da tre giorni è senza un tetto sulla testa e non possiede alternative per ora. L’azione di sgombero, che comprende anche l’abbattimento di scuole, ambulatori ed attività commerciali, era nell’aria da tempo per far spazio alla costruzione di una super strada Kibera-Kungu-Lang’ata.
La popolazione insorge e gli attivisti protestano, ma sembra non ci siano più margini di manovra per il negoziato ormai.
«Passiamo intere notti insonni: persino il rumore di un’auto ci terrorizza perchè sappiamo che le nostre case potrebbero essere demolite da un momento all’altro. Non ci opponiamo allo sviluppo del territorio, ma vogliamo che i nostri diritti siano rispettati durante tutto il processo di sfratto».
E’ Diana Angaya a parlare, intervistata dal quotidiano on-line keniano Capital. Si tratta di una delle migliaia (si parla di 10mila persone già senza casa) di residenti degli insediamenti informali sorti all’interno della baraccopoli.
Il problema di Kibera, scrive la stampa locale, è che si tratta praticamente di una città nella città che negli anni si è sviluppata a dismisura e in modo autonomo, fino a contenere scuole, chiese, case e tutta un’economia informale e sommersa (mercati, negozi e servizi), che di fatto consente alle migliaia di persone che ci vivono di condurre una vita poverissima ma quasi degna.
Il piano di sfratti e demolizioni di Kibera non prevede un’alternativa, né una sistemazione per i suoi abitanti.
La Mashimoni Squatters school con 576 alunni e la Makina Self Help school, che ne ospita 150, così come la New Adventure Pride Center con 200 studenti sono tra le scuole che presto saranno abbattute.
Attivisti, missionari, ong come Amnesty International e predicatori hanno fatto appello al presidente Uhuru Kenyatta affinchè blocchi tutta questa azione.
«Ci appelliamo al presidente affinchè fermi gli sgomberi e le demolizioni almeno fintanto che il governo non metterà in atto leggi e regolamenti per il rispetto dei diritti umani», scrivono le ong in un comunicato congiunto.
Ma il negoziato con le autorità va avanti da tempo e pare aver raggiunto un punto di non ritorno.
Lunedì scorso già 10mila persone sono rimaste senza casa, quando la Kenya Urban Authority le ha spianate nonostante avesse assicurato che le demolizioni non sarebbero avvenute prima del varo di un piano di ricollocamento e un processo di enumerazione.
La Commissione nazionale per i diritti umani del Kenya ha definito gli sgomberi forzati «non solo una violazione della legge e dei diritti umani, ma anche una violazione della fiducia e una dimostrazione della malafede da parte dell’Autorità per le strade del Kenya e delle altre agenzie interessate».